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Sanità, sprecato un euro su tre: “La salute dipende dal cap”

Il 32 per cento dei trasferimenti dal Servizio sanitario nazionale alla Sicilia non producono nulla per i cittadini. I dati della Fondazione Gimbe, che sottolinea l'esistenza di una "questione meridionale"

La sanità siciliana è un tubo che perde. In dieci anni, tra il 2010 e il 2017, il 32 per cento dei trasferimenti dal Servizio sanitario nazionale alla regione “non ha prodotto servizi per i cittadini”. Un euro su tre si è perso nel nulla. O comunque è stato inutile. È il risultato di un’analisi della Fondazione Gimbe, che nota una chiara “questione meridionale”.

Gli sprechi delle Regioni

Ogni anno il ministero della Salute pubblica il documento “Monitoraggio dei Lea attraverso la cd. Griglia Lea”. Serve a verificare, tramite un questionario e l’assegnazione di un punteggio, l’effettiva erogazione delle prestazioni sanitarie minime che le Regioni devono garantire ai cittadini. La fondazione ha fatto un passo in più: ha calcolato le “percentuali di adempimento” delle 21 Regioni e Province autonome, intese come il rapporto tra punteggio ottenuto nel periodo 2010-2017 e quello massimo raggiungibile. Lo scenario italiano non è felice: la percentuale di inadempimenti (cioè quanti trasferimenti svaniscono anziché trasformarsi in servizi) è del 26,3 per cento. Un euro su quattro nella spazzatura. Ma – come molte medie – anche questa nasconde le enormi differenze regionali. In Emilia Romagna gli adempimenti superano il 90 per cento. Viene cioè sfruttata quasi ogni goccia che da Roma viaggia verso Bologna. All’altro capo della fila c’è la Campania, dove si perde quasi la metà delle risorse. La Sicilia, 14esima in classifica, è nella (cattiva) compagnia di quasi tutte le altre aree meridionali. Solo 11 Regioni superano la soglia di adempimento del 75 per cento. E, ad eccezione della Basilicata, sono tutte situate al Centro-Nord. Con in cima – alle spalle dell’Emilia Romagna – Toscana, Piemonte, Veneto e Lombardia. Per questo motivo la Fondazione Gimbe parla di una “questione meridionale in sanità”.

Un sistema di valutazione “piatto”

L’analisi sottolinea che, oltre all’efficace gestione di alcune Regioni, lo stesso sistema di valutazione del Servizio sanitario nazionale non contribuisce a ridurre le distanze. I risultati della griglia Lea, infatti, distinguono tra “adempienti e inadempienti”, imponendo solo a questi ultimi un percorso di affiancamento in grado di garantire il rientro tra i diligenti. Il problema, spiega la Gimbe, è che la valutazione ha un sistema “appiattito”: concede la promozione con appena 160 punti su 225. Ne viene quindi fuori un quadro diviso in due, senza purgatorio. Mentre lo scenario reale è molto più sfumato. La, Sicilia, ad esempio, dopo il picco del 2014 (170 punti), è scesa sotto la soglia minima l’ultima volta nel 2015. Tra il 2016 e il 2017 ha avuto un nuovo deterioramento, da 163 a 160 punti. Come si nota, quindi, la Regione galleggia sulla soglia dei promossi, ma resta lontana dai più virtuosi, ben oltre i 200 punti. E non si tratta solo di numeri: dietro le cifre ci sono servizi sanitari, quindi la salute delle persone.

La sanità dipende dal cap

L’assegnazione dei punteggi, secondo il presidente della Fondazione Gimbe Nino Cartabellotta, crea delle distorsioni: “A fronte dei risultati dell’ultimo monitoraggio che documenta un trend dei punteggi Lea in progressivo aumento e identifica come inadempienti solo Calabria e Campania, numerosi report indipendenti nazionali e internazionali attestano invece un peggioramento della qualità dell’assistenza, in particolare secondo la prospettiva del paziente”. È vero, infatti, che gli inadempienti medi in Italia sono calati in dieci anni dal 36 al 19 per cento. Ma la griglia Lea non sarebbe quindi “uno strumento adeguato per verificare la reale erogazione delle prestazioni sanitarie e la loro effettiva esigibilità da parte dei cittadini”. Anche perché le “capacità di catturare gli inadempimenti” sono “modeste” e – per di più – si basano sull’autocertificazione delle Regioni. Servirebbe, afferma Cartabellotta, “un radicale cambio di rotta per monitorare l’erogazione dei Livelli essenziali di assistenza”. Senza, “sarà impossibile ridurre diseguaglianze e mobilità sanitaria e il diritto alla tutela della salute continuerà ad essere legato al cap di residenza”.

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Paolo Fiore
Paolo Fiore
Leverano, 1985. Leccese in trasferta, senza perdere l'accento: Bologna, Roma, New York, Milano. Ho scritto o scrivo di economia e innovazione per Agi, Skytg24.it, l'Espresso, Startupitalia, Affaritaliani e MilanoFinanza. Aspirante cuoco, sommelier, ciclista, lavoratore vista mare. Redattore itinerante per FocuSicilia.

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