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Arriva la blockchain del gelato. “Andiamo oltre il buono”

Il maestro gelatiere, ospite del festival Sherbeth a Catania, lancia un'idea per la certificazione digitale della filiera delle materie prime

“Il consumatore deve andare al di là del buono”. Lì, oltre il gusto, c’è “la distinzione sulla materia prima”. Per questo servono “garanzie”. Alberto Marchetti è deciso: ha lanciato la blockchain del gelato, un archivio digitale e distribuito che consente di certificare e verificare ogni passaggio della filiera. L’ha presentata al festival Cheese, tenutosi a Bra dal 20 al 23 settembre. E subito dopo allo Sherbeth di Catania.

Come nasce la blockchain del gelato

“L’idea – spiega il gelatiere torinese – è arrivata da due parti. Già dal 2016, con Slow Food e Terramadre abbiamo sottolineato l’importanza delle materia prima di origine italiana. Poi, dopo un po’ di tempo, il mio torrefattore ha iniziato a tracciare con la blockchain il chicco di caffè, dalla piantagione al cliente. Quest’anno ho voluto dare questo nuovo input”. I primi esperimenti sono stati fatti con il fiordilatte (con la tracciabilità di latte e zuccheri di origine italiana) e caffè (con la provenienza del chicco e la sua trasformazione). 

Ma la tecnologia non basta

La tecnologia però non basta. “Serve una rete di gelatieri e fornitori” che sia in grado di garantire il dato poi certificato dalla blockchain. “La risposta dei gelatieri – spiega Marchetti – è stata molto positiva. Se ne sta parlando molto. Anche alcuni fornitori si sono mostrati interessati”. Marchetti è consapevole che ci sia molto lavoro da fare: “C’è sicuramente la difficoltà di arrivare al coltivatore. Siamo piccole realtà che seguono una catena di fornitori”. Resta quindi da ricostruire un’intera filiera, poi da archiviare sulla blockchain.

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Blockchain a tutela delle materie prime

“Dopo la campagna per la carta degli ingredienti – afferma Marchetti – la blockchain è un passo ulteriore”. Secondo il gelatiere, sono entrambi strumenti per valorizzare l’autenticità: “Si va verso la garanzia che il prodotto sia realmente fatto con il pistacchio di Bronte. E lo stesso vale per nocciola, mandorle e zuccheri, la cui provenienza non deve essere scontata. Il mio gelato – sottolinea – avrà anche dei difetti ma è fatto con queste materie prime”. Vale ancora di più per un prodotto che non ha una Dop (“È complicato”, riconosce Marchetti), visto che non esistono norme a riguardo. “Bisogna andare oltre, anche della dicotomia industriale-artigianale”.

La filiera in vetrina

Molto dipende poi, come sempre, dall’accoglienza dei clienti. “Ci sono consumatori che hanno voglia di conoscere le materie prime e altri che sono meno interessati”, spiega l’imprenditore piemontese. Che però è convinto: “La trasparenza premia. Ma bisogna mettere nelle mani del cliente strumenti come la blockchain o la carta degli ingredienti. Nascondere meno e dare più garanzia”. Marchetti ha dato forma fisica alla trasparenza nella sua nuova gelateria torinese, aperta un anno e mezzo fa: “In vetrina non ho messo i mantecatori ma il magazzino e la dispensa. È un’informazione nuova al consumatore. Qualcuno si ferma, altri criticano. Vedremo. A decidere è sempre il consumatore”.

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Paolo Fiore
Paolo Fiore
Leverano, 1985. Leccese in trasferta, senza perdere l'accento: Bologna, Roma, New York, Milano. Ho scritto o scrivo di economia e innovazione per Agi, Skytg24.it, l'Espresso, Startupitalia, Affaritaliani e MilanoFinanza. Aspirante cuoco, sommelier, ciclista, lavoratore vista mare. Redattore itinerante per FocuSicilia.

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