Prima Brexit, poi il coronavirus: il 2020 ha già portato due fenomeni dalle conseguenze macroeconomiche imprevedibili. Ma non per Gaetano Bauso, imprenditore catanese con attività a Londra e in Cina, che le sta già sperimentando in prima persona. È il creatore di Etnacoffee, bar ristorante che vende prodotti tipici siciliani, con materie prime importate dalla Sicilia. Altri quattro ristoranti li ha in un parco divertimenti nei pressi di Changsha, città media per il contesto cinese – oltre 6 milioni di abitanti -, ma a soli 350 chilometri dall’epicentro dell’epidemia di coronavirus di Wuhan. “Tutto è chiuso da fine dicembre ormai”, racconta l’imprenditore. Bauso, titolare dell’attività insieme al fratello Enrico, ha portato arancini e cannoli oltre Manica ormai sei anni fa. I prodotti gastronomici sono arrivati nel 2017 anche alla bocca di alcuni dirigenti della Huayi Brothers Media Corporation (Hb), in cerca di tipicità italiane da esportare nel centro della Repubblica Popolare. Hb Italian Town, il parco che dall’immensa compagnia prende il nome, è stato aperto nel 2018 ed è una sorta di Italia in miniatura, dove vengono riproposti quasi a grandezza naturale i monumenti di Venezia, Assisi e Siena. “Prima dell’emergenza, gli affari avevano già risentito della guerra commerciale con Trump e gli Usa. E credo che a breve dovrò decidere se terminare la mia avventura in Cina “, ammette l’imprenditore.
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Bloccata l’apertura di altri sette locali in Cina
Non solo Changsha, dove Bauso ha lasciato in gestione i ristoranti a dei manager locali: il coronavirus ha bloccato l’apertura di altri sette punti vendita Etnacoffee. Dovevano sorgere entro la fine dell’anno ad Hainan, nel sud della Cina, in una futuristica isola artificiale, tuttora in costruzione. L’emergenza ha bloccato anche quest’opera, “facendo slittare la consegna a data da destinarsi”. Ma “se un investimento può andare male”, come afferma Bauso, il vero shock è stato “vedere in tv le strade di una metropoli da 13 milioni di abitanti deserta”. Parla di Wuhan, dove è andato solo una volta, ormai due anni fa, “per dei documenti da consegnare al consolato britannico che lì ha sede”. La situazione cinese ha quindi avuto, da subito, un impatto estremamente negativo. Ma non scommettere sulla ripresa del gigante cinese, al momento, sembra un errore. “Chiaro, la crescita rallenterà rispetto ai ritmi incredibili degli ultimi decenni. Ma c’è sempre molta cautela, per riflettere bene sugli investimenti in Cina”.
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“Brexit? Ora che è avvenuta, c’è aria di opportunità”
Nel frattempo, nei sue due ristoranti londinesi di Victoria Station e Baker street, il coronavirus sembra solo una notizia lontana. “Sono stato in vacanza in Sicilia poche settimane fa, al mio ritorno mi hanno solo inviato una nota nella quale mi chiedevano di contattare, a mia discrezione, un numero telefonico solo nel caso fossi stato anche nelle zone rosse del Nord”. Un clima sereno, quello di Londra, che non sembra al momento risentire nemmeno della Brexit. “Ora che è avvenuta sembra che gli affari vadano meglio. Naturalmente vedremo, ma c’è aria di nuove opportunità”, racconta. Tra queste, paradossalmente, “si parla moltissimo di un possibile avvicinamento come partner commerciale privilegiato della Cina, ora che gli Stati Uniti hanno applicato i dazi”. Dazi che potrebbero arrivare, per il Regno Unito, anche dall’Unione Europea nel 2021, così come il divieto di entrare liberamente in Inghilterra e cercare un lavoro. “Ma oggettivamente non credo che cambierà molto: è tutto ancora da decidere, e gli inglesi non si lasciano scappare le opportunità. Quando serviranno lavoratori, li faranno arrivare. Credo sarà solo più complicato vagare per mesi senza un posto di lavoro come accade ora”. A livello personale ha invece già risolto tutto, con la possibilità “di prendere il passaporto britannico nel 2021”. Ma soprattutto, Brexit non sembra aver cambiato nulla negli affari, “almeno per noi piccoli imprenditori: il costo delle materie prime importate dalla Sicilia era lievitato con il crollo della sterlina rispetto al’euro di un paio d’anni fa, al momento del referendum. Il cambio è già più favorevole, e credo possa solo migliorare”.
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“Qui non potremmo mai chiudere per due settimane”
Nell’incredibile serie di macro-avvenimenti che hanno caratterizzato l’avvio del 2020 di Bauso, il tassello debole sembra però proprio l’Italia. “C’è una grande differenza con Londra: lavoro a contatto col pubblico e del coronavirus non si parla mai, è come se non ci fosse”. Un self-control mantenuto “nonostante 35 casi confermati: niente panico e niente mascherine”. Da imprenditore “che dà occupazione a otto italiani”, vede le notizie dall’Italia come delle esagerazioni. “Mi ha colpito l’atteggiamento del governo e degli organi di stampa, che hanno disegnato un clima obiettivamente non rispondente alla realtà. In Italia è sembrato si stesse diffondendo la peste bubbonica”. A fine maggio a Londra ci sarà peraltro il Sicily Fest, evento di promozione della gastronomia dell’isola tra i più partecipati nella capitale britannica. “Sono fiducioso che vada bene, anche perché finora le uniche reazioni all’allarmismo italiano sono state quelle ironiche per la mascherina messa pubblicamente dal presidente della Lombardia Fontana. Certo – ammette -, anche Xi Jinping l’ha messa in Cina, ma dopo oltre 2 mila morti”. A Londra, “città fondata sul business,”, conclude Gaetano Bauso, “io e altri non possiamo permetterci di chiudere per due settimane. Mi metto nei panni di chi sta vivendo questo in Italia”.