Passano dallo sviluppo della moneta elettronica e altri pagamenti alternativi al contante le misure avanzate dal Governo in materia di Iva. Devono però scontrarsi con un Paese che preferisce le banconote, soprattutto al Sud. Una scelta dettata dall’abitudine, che però racconta anche un tema più ampio: la diffidenza nei confronti del digitale, che non può essere cancellata a norma di legge.
Le proposte del governo
Sono tre le proposte sulle quali si sta discutendo in questi giorni. La prima riguarda la possibilità di incrementare o ridurre l’imposta sul valore aggiunto sulla base del metodo di pagamento scelto, e quindi aumentando di un punto percentuale l’aliquota nel caso di pagamenti con banconote e diminuendola di due per chi, in alternativa, decide di optare per la moneta digitale; la seconda, invece, ha come obiettivo quello di premiare coloro i quali utilizzeranno in maniera continua e costante i pagamenti digitali. Si tratta del cashback, ossia della restituzione del 2 per cento delle transazioni con carte, app e bancomat sotto forma di credito di imposta, attraverso assegno per gli incapienti o semplice restituzione mese per mese in estratto conto per tutti gli altri. Un cashback che diventa ancora più sostanzioso nel caso della terza e ultima misura, ribattezzata Super Bonus o Bonus Befana, che riguarderà tutti i cittadini che supereranno un determinata soglia di pagamenti digitali. In particolare, il premio dovrebbe scattare ai 2.500 euro mensili per l’acquisto di beni e servizi ben definiti. La misura, inoltre, potrebbe essere anche declinata nella forma di un bonus del 10 per cento sulle spese effettuate tramite moneta elettronica.
Bapr: bene, ma servono investimenti
Le misure proposte dal Governo potrebbero davvero migliorare il rapporto tra i cittadini e l’intero sistema bancario. Ne è convinto Saverio Continella, direttore generale di Banca agricola popolare di Ragusa (Bapr): “Un intervento di questo tipo aumenterebbe la consapevolezza del cliente di banca sul possibile maggiore controllo del bilancio familiare”. Tali soluzioni, però, hanno delle zone d’ombra. L’attuazione potrebbe essere complicata. Bisogna infatti fare attenzione, aggiunge Continella, “agli investimenti richiesti all’intero ecosistema per poter gestire, ad esempio, la differente applicazione delle aliquote Iva. Occorre dare la possibilità al sistema bancario di adeguarsi velocemente senza intervenire con normative stringenti sulle commissioni, che diminuirebbero comunque nel tempo con l’aumentare dei volumi di transato sui pagamenti elettronici per mero effetto delle economie di scala che si creerebbero e della maggiore competizione sul mercato”.
Il contante in Italia e in Sicilia
Anche Maurizio Pimpinella, presidente dell’Associazione italiana prestatori di servizi di pagamento (A.p.s.p.) promuove la proposta dell’esecutivo, perché “può essere un’efficace idea incentivante la digitalizzazione dei pagamenti in Italia”. Ma, sottolinea, “non può essere l’unica”. I dati raccontano infatti un Paese ancorato al contante. Soprattutto nel Mezzogiorno. Pimpinella spiega che le operazioni medie pro capite effettuate con carte di pagamento ogni anno sono appena 40. Ne viene effettuata una volta ogni 16 giorni in Basilicata e una volta ogni 11 giorni in Campania. In Sicilia il grado di utilizzo del contante è del 60,9 per cento, ma tocca il 74,7 per cento in Basilicata. Percentuali lontane dal 37,1 per cento della provincia autonoma di Trento. “In questo contesto – afferma Pimpinella – è necessario un progetto strutturato ed organico che abbracci il più possibile tutti gli aspetti della quotidianità, ed in particolare la Pa, per la quale è necessario un lavoro sia sui lavoratori sia sui cittadini”.
I passi avanti non bastano
I passi avanti ci sono. Secondo i dati di Banca d’Italia, nel 2016 (ultimo anno preso in esame fino a ora), l’86 per cento delle transazioni è stato regolato da banconote. In Sicilia, le transazioni con contante oscillavano tra l’84 e l’87 per cento. Tre anni fa, in Calabria si arriva addirittura a sfiorare il 94 per cento. L’Osservatorio carte di credito e digital payments di Assofin, Nomisma e Ipsos, con contributo di Crif, afferma che, nel 2018, si è registrato un aumento dei pagamenti digitali pari al 6,8 per cento sull’anno precedente, con un record di importi transati: oltre 80 miliardi di euro. Nonostante questo, nel rapporto tra il valore delle transazioni e Pil, l’Italia si posiziona al 24esimo posto su 28 Paesi europei. “I pagamenti digitali sono in costante crescita – conferma Pimpinella – ma in Italia permangono delle consistenti sacche di resistenza in cui il contante la fa ancora da padrone”.
Asps: “Il digitale è un’occasione”
Il nostro Paese, afferma ancora Pimpinella – necessita “della diffusione di una più ampia cultura dei pagamenti e della legalità, abbinata a forti misure di incentivo, di ammodernamento e semplificazione delle procedure giuridico-amministrative afferenti, in particolare, alla pubblica amministrazione. Gli italiani devono prendere coscienza che una reale digitalizzazione della nostra società, e di conseguenza del mondo dei pagamenti, rappresenta una cruciale occasione che dobbiamo essere in grado di cogliere per evitare che il nostro futuro di crescita sia barattato con un ‘dolce declino’”.