Una regione che invecchia, dove il prodotto interno lordo diminuisce, i giovani emigrano e l’economia ristagna in pochi settori tradizionali, gestiti al 90 per cento da micro imprese familiari. Questa la fotografia sulla Sicilia fatta dal rapporto “check-up Mezzogiorno 2019“, pubblicato lo scorso 15 luglio dall’area politiche regionali e per la coesione territoriale di Confindustria e da Studi e Ricerche per il Mezzogiorno (Srm), organismo di banca Intesa. La ricerca è basata su cinque indici: investimenti fissi lordi, numero di imprese, lavoratori attivi, investimenti, esportazioni.
Piccoli segnali positivi: in aumento imprese ed export
“Tutti e cinque gli indicatori che compongono l’Indice – si legge nel rapporto -, fanno segnare un piccolo miglioramento, che si fa tuttavia sempre più lieve, in particolare con riferimento al Pil, all’occupazione e alle imprese, mentre continua la crescita dell’export”. Il dato è riferito all’intero sud Italia, ma la Sicilia sembra perfettamente in linea con il trend generale. Il prodotto interno lordo pro capite si attesta a 16mila e 254 euro, pari al 61 per cento di quello medio nazionale di 26mila e 461 euro, con una flessione dello 0,3 per cento sul periodo della rilevazione precedente (2016). Le imprese attive siciliane nell’ultimo anno sono aumentate dello 0,43 per cento: erano 464mila 403 nel II trimestre 2018, 466 mila 428 nel corrispondente periodo del 2019. Aumenta invece sensibilmente l’export, con la Sicilia: un balzo del 3,6 per cento, ovvero dai 399 milioni del 2016 ai 414 del 2017. Un dato che evidenzia anche la seconda performance del Meridione in termini di propensione all’export (in aumento del 15,1 per cento), ma che in entrambi i casi rimarca come in valore assoluto la Sicilia sia ben lontana dalle regioni cardine dell’economia nazionale. In Lombardia, prima regione d’Italia, l’export è passato dai 22 miliardi del 2016 agli oltre 23,5 del 2017, con un aumento del 7 per cento, un dato che surclassa quello di tutto il Meridione, fermo a 7 miliardi e 284 milioni, un balzo percentuale del 3,6 per cento.
Diminuisce la disoccupazione, ma anche i residenti
Il dato più preoccupante arriva però dalla disoccupazione. In lieve calo percentuale, con un passaggio dal 23,1 per cento del del primo trimestre 2018 al 22,3 del corrispondente periodo del 2019, è in realtà frutto della diminuzione della popolazione attiva siciliana, che passa in un anno dal 52,3 al 50,9 per cento. La media nazionale vede il 65,6 per cento della popolazione attiva, così come in tutto il Sud la media è più alta, fermandosi al primo trimestre 2019 al 54 per cento. La spiegazione al dato va quindi cercata nel saldo migratorio negativo, che porta persone in età da lavoro fuori dalla Sicilia, e una diminuzione nel solo 2017, ultimo anno rilevato disponibile all’interno dello studio, di 10mila e 538 residenti, prima nel Sud e in Italia. Tutto questo non fa che confermare un l’indice di competitività regionale 2016, che vede la Sicilia ultima in Italia, al 237esimo posto in Europa con un valore di 15,3 su cento (dato indicativo rappresentato da Londra). La Lombardia, prima regione d’Italia, è al posto numero 143 con un 53,5 su 100.
Sorpresa Palermo: prima in Italia in tre settori
Il “check-up” sottolinea però alcuni dati sorprendenti che riguardano la Sicilia, e in particolare il capoluogo. Palermo è infatti “alla guida della classifica dei comuni italiani per livello di valore aggiunto prodotto nel settore del trasporto marittimo e costiero di merci, in quello dei Servizi di ambulanza e di assistenza sanitaria e nella Gestione di luoghi e monumenti storici. Complessivamente il comune siciliano raccoglie oltre il 40 per cento del valore aggiunto prodotto a livello nazionale in questi tre settori di attività”. Bene anche gli aeroporti siciliani, con Catania primo nel meridione per poche decine di unità su Napoli: 9 milioni 933 mila passeggeri nel 2018 per lo scalo siciliano, in aumento del 8,9 per cento sul 2017, mentre Palermo aumenta del 14,8 per cento, arrivando a 6 milioni e 628 mila passeggeri.