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Sicilia, le imprese faticano a trovare un lavoratore su 4

Le aziende non riescono a colmare la (scarsa) offerta. I candidati mancano o sono impreparati. E spesso svolgono mansioni al di sotto del loro livello d'istruzione: è l'effetto "Smetto quando voglio"

I posti di lavoro offerti sono pochi e i disoccupati tanti. Eppure, le imprese siciliane fanno fatica a trovare un potenziale assunto su quattro. Lo affermano i dati Unioncamere-Anpal elaborati dalla Cgia di Mestre. A gennaio, le aziende hanno cercato nella regione 19250 posti. Il 26 per cento è stato di “difficile reperimento”. Una quota molto inferiore alla media italiana, che sfiora il 33 per cento (e si avvicina al 50 in alcune province del nord).

Pochi posti, meno ricerca

Il dato siciliano va analizzato, perché è la combinazione di più fattori. Il primo è la penuria di posti disponibili. È chiaro: se le aziende assumono poco, tenderanno ad avere meno problemi a trovare i candidati. Le 19250 offerte disponibili pongono la Sicilia poco al di sopra della Puglia (che però ha una popolazione inferiore) ma molto al di sotto della Campania (dove i posti disponibili sono più di 31 mila). Per non parlare delle regioni del Nord come Piemonte ed Emilia Romagna (solo per limitarsi a quelle con una popolazione residente simile), dove le offerte sono doppie.

Candidati impreparati

C’è poi un’anomalia che accomuna tutte le regioni del Sud. In Italia, la principale difficoltà è costituita dalla mancanza di candidati (nel 15,7 per cento dei casi, con punte oltre il 25 in Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige). Nel 13,8 per cento, invece, i candidati ci sono ma non sono abbastanza preparati. Questo equilibrio, in Sicilia è sovvertito: solo in un caso su dieci le imprese non trovano candidati. Capita più spesso (nel 13,6 per cento dei casi) che chi si presenta, pur avendo (sulla carta) le competenze giuste, non sia abbastanza preparato. Dietro il curriculum non c’è sostanza.

Chi cerca non trova

La percentuale di difficile reperimento in Sicilia è inferiore anche alla media del Sud, del 27,5 per cento. Ma con decise differenze a livello provinciale. Siracusa, dove si rivela complicato rintracciare un lavoratore su tre, rappresenta uno dei picchi meridionali. Oltre la media regionale anche Ragusa (28,4 per cento), Caltanissetta (27,3 per cento) e Agrigento (27 per cento). In linea con il dato medio dell’Isola sono Messina e Catania, mentre pare meno difficile assumere a Trapani e Palermo (entrambe attorno al 23 per cento). E soprattutto a Enna: è la provincia italiana con il tasso di “difficile reperimento” più basso, al 19,9 per cento. Un dato però che si spiega anche con i soli 340 posti di lavoro disponibili (in nessuna altra provincia sono così pochi).

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Camionisti cercasi

Nelle province più grandi (Palermo e Catania), la Cgia ha indicato anche quali sono i lavoratori che è più difficile rintracciare. Il capoluogo etneo ha fame di informatici, quello regionale di cuochi e camerieri. Entrambi cercano tecnici alle vendite, commessi nei negozi e conduttori di mezzi di trasporto. Proprio quest’ultima categoria è stata evidenziata dall Cgia come il caso più solare del paradosso che affianca elevata disoccupazione a imprese che non trovano lavoratori: “I giovani non vogliono più fare gli autisti di mezzi pesanti, sia perché il costo per ottenere la patente C o D e la Carta di qualificazione del conducente ha una dimensione importante che oscilla tra i 2.500 e i 3 mila euro, sia perché è una professione estremamente faticosa. Alle ore di guida spesso si accompagnano anche quelle necessarie per compiere le operazioni di carico e scarico della merce trasportata”. “L’offerta di lavoro si sta polarizzando”, afferma il coordinatore dell’ufficio studi Paolo Zabeo. Da un lato c’è il disallineamento tra quello che chiede il mercato del lavoro e quello che scuole e università offrono. Dall’altro ci sono “profili che spesso i nostri giovani rifiutano e solo in parte vengono coperti dagli stranieri”.

Come “Smetto quando voglio”

Paradosso nel paradosso: “Pur avendo un numero di diplomati e di laureati tra i più bassi di tutti i paesi Ue gli occupati sovraistruiti presenti in Italia sono poco meno di 6 milioni”. Vuol dire che un lavoratore su quattro, pur di lavorare ha accettato un posto meno qualificato rispetto al suo titolo di studio. Un po’ come Pietro Sermonti in “Smetto quando voglio”, che fingeva di non essere laureato pur di conquistarsi una busta paga in cantiere (salvo essere scoperto per aver usato un’espressione troppo forbita, “diatriba legale”). Il problema di questo “disallineamento” non ha effetti solo sul singolo occupato ma può avere ripercussioni sistemiche. Perché, spiega la Cgia, “provoca un forte disinteresse e una scarsa motivazione per il proprio lavoro che ha delle ricadute molto negative sulla produttività del sistema economico”.

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Paolo Fiore
Paolo Fiore
Leverano, 1985. Leccese in trasferta, senza perdere l'accento: Bologna, Roma, New York, Milano. Ho scritto o scrivo di economia e innovazione per Agi, Skytg24.it, l'Espresso, Startupitalia, Affaritaliani e MilanoFinanza. Aspirante cuoco, sommelier, ciclista, lavoratore vista mare. Redattore itinerante per FocuSicilia.

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