“Doppio divario”. Queste le parole chiave scelte da Svimez, l’associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno, per il suo rapporto sullo stato dell’economia nel Sud Italia per il 2018. Dalla crisi del 2008 il Paese sta lentamente recuperando terreno, a ritmi comunque inferiori dell’Europa che cresce in media del 2 per cento. E per il Meridione e la Sicilia si prospetta un 2019 in recessione.
Sicilia, peggio della media meridionale
“Siamo l’unico paese, a parte la Grecia, che non ha ancora recuperato i livelli pre crisi”, scrive Svimez nella sua analisi, e le regioni meridionali arrancano con ritmi ancora più lenti, con un risultato del più 0,6 per cento nel Pil, a fronte di una media nazionale dello 0,9. La Sicilia non fa eccezione, anzi: l’Isola fa segnare nel 2018 una crescita pari allo 0,5 per cento, dando segnali di stagnazione più che di ripresa dopo il meno 0,3 per cento del 2017. In Sicilia l’agricoltura va male, in picchiata rispetto al 2017 del 4,2 per cento, ed è l’industria (in crescita del 5,9 per cento), insieme alle costruzioni (più 4,3 per cento) a sostenere l’affannosa ripresa. I servizi invece confermano l’andamento negativo degli ultimi anni, segnando un aumento di appena lo 0,1 per cento.
Disoccupazione e investimenti pubblici in calo
Un dato, in particolare, esplicita le difficoltà dell’economia siciliana: tra il 2008 e il 2018 il Pil è sceso del 13,9 per cento. Nel 2014 il calo, in paragone al 2008, aveva raggiunto il suo massimo con una perdita del 15 per cento. Nello stesso periodo la differenza in negativo, a livello nazionale, è stata del 4,3 per cento. E per Svimez il 2019 potrebbe portare a un ulteriore fase recessiva, con una previsione del meno 0,3 per cento al Sud e un aumento di appena 0,1 per cento per tutta l’Italia. La prima causa della previsione negativa è l’occupazione, in calo dal 2017 di 107 mila unità pari al 1,7 per cento. La cassa integrazione è passata da 10 mila unità a oltre 35 mila ed è cresciuta la precarizzazione del lavoro, con i posti a tempo indeterminato in flessione di 84 mila unità, il 2,3 per cento. Al Nord, nello stesso periodo, l’occupazione è aumentata dello 0,3 per cento. La perdita occupazionale è stata solo in minima parte mitigata dal Reddito di cittadinanza, che ha inciso sul Pil con una stima dello 0,13 per cento, mentre il previsto aumento dell’Iva dovrebbe incidere in negativo dello 0,33 per cento sull’economia nazionale. Questa cifra si scompone territorialmente in un meno 0,3 per cento al Centro-Nord e in un meno 0,41 per cento al Sud. I consumi sono stagnanti, cresciuti nel 2018 dello 0,2 per cento al Sud rispetto allo 0,7 per cento del resto d’Italia, e vi è stata inoltre una riduzione degli investimenti pubblici. Nel 2018, stima Svimez, sono stati impiegati in opere pubbliche nel Mezzogiorno 102 euro pro capite rispetto a 278 nel Centro-Nord (nel 1970 erano rispettivamente 677 euro e 452 euro pro capite). In questo quadro l’aumento dell’Iva potrebbe annullare anche la modesta crescita stimata per il 2020, lo 0,4 per cento.
Al Sud pochi lavori qualificati e alta emigrazione
Svimez ha calcolato che la differenza occupazionale del Sud rispetto al Centro-Nord nel 2018 è stata pari a 2 milioni 918 mila persone, al netto delle forze armate. La metà di questi riguardano lavoratori altamente qualificati e con capacità cognitive elevate. I settori nei quali vi sono la maggiori differenze sono i servizi (1 milione e 822 mila unità, meno 13,5 per cento), l’industria (1 milione e 209 mila lavoratori, meno 8,9 per cento) e la sanità e i servizi alle famiglie che complessivamente presentano un gap di circa mezzo milione di unità. Ad aggravare il dato quella che l’istituto di ricerca definisce “la vera emergenza al Sud: più emigrati che immigrati”, con la perdita di popolazione giovane e qualificata alla quale non corrisponde un pari flusso in ingresso. Le persone che sono emigrate dal Mezzogiorno sono state oltre 2 milioni nel periodo compreso tra il 2002 e il 2017, di cui 132 mila e 187 solo nel 2017. Di queste ultime, 66 mila e 557 sono giovani, il 50,4 per cento del totale, di cui il 33 per cento laureati, cioè 21 mila e 970. Il saldo migratorio interno, al netto dei rientri, è negativo per 852 mila unità. Nel 2017 sono andati via 132 mila meridionali, con un saldo negativo di circa 70 mila unità. Nello stesso anno sono tornati o arrivati in 75 mila.
Sicilia: in crisi i servizi sociali e la formazione
Il gap lavorativo e di investimenti si traduce in minori servizi anche per le fasce deboli della popolazione: al Sud vi sono 28,2 posti letto di degenza ordinaria ogni 10 mila abitanti, contro i 33,7 del Centro-Nord. Al Nord, inoltre, per ogni 10 mila utenti anziani con più di 65 anni, 88 usufruiscono di assistenza domiciliare integrata con servizi sanitari, al centro sono 42, 18 nel Mezzogiorno. In Sicilia 15 su 10 mila. I posti letto nelle strutture residenziali e semi residenziali, comprensivi degli istituti di riabilitazione, ogni 10 mila persone (non solo anziani), sono 73,47 al Centro-Nord, 21,21 al Mezzogiorno, e 9,85 in Sicilia. Inoltre, mentre nelle scuole primarie del Centro-Nord il tempo pieno per gli alunni è una costante nel 48,1 per cento dei casi, al Sud si precipita al 15,9 per cento, con la Sicilia che si distingue in negativo con il 7,5 per cento. Fa peggio solo il Molise con il 6,3 per cento. Il numero di giovani che, conseguita la licenza media, resta fuori dal sistema di istruzione e formazione professionale raggiunge nel Sud il 18,8 per cento, il 20 per cento in Sicilia. Svimez, in conclusione alle sue anticipazioni del rapporto 2018 sul Meridione, lancia un appello alla politica: puntare su sviluppo sociale ed infrastrutturale per ridurre il divario.