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Tabacco di Sicilia, eccellenza andata in fumo. E pure quello italiano è in declino

Per secoli il tabacco di Sicilia è stato un prodotto di eccellenza, ma negli ultimi decenni ha conosciuto un lento declino fino al sostanziale abbandono. L'Italia rimane il principale produttore europeo, ma la produzione si è ridotta di due terzi in 15 anni. Ecco perché

C’era una volta il tabacco di Sicilia, una produzione di eccellenza apprezzata in tutto il Paese e anche fuori dai confini nazionali per l’aroma e le particolari caratteristiche. La tradizione è andata avanti per secoli, me negli ultimi decenni ha conosciuto un declino, fino al totale abbandono. “Il tabacco era diffuso soprattutto nella provincia di Ragusa, a Vittoria e Comiso, e nel calatino a Licodia Eubea, particolarmente famosa per quello da fiuto”, spiega a FocuSicilia l’agronomo Riccardo Randello. Negli ultimi anni sono stati portati avanti diversi progetti di reintroduzione. “Nel 2015, insieme al professor Paolo Guarnaccia dell’Università di Catania, abbiamo fatto un tentativo a Licodia, grazie anche a un piccolo contributo offerto dal Comune”, racconta l’esperto. La conclusione dell’esperimento è stata chiara. “La Sicilia possiede un clima ideale per la coltivazione di questa pianta. È il contesto economico e culturale che è cambiato profondamente, portando all’abbandono di questa coltivazione“.

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Produzione ridotta di due terzi in 15 anni

Secondo i dati del ministero dell’Agricoltura, l’Italia è “il primo produttore di tabacco greggio dell’Unione europea, con una quota del 27 per cento”, e lungo la Penisola “vengono coltivate tutte le varietà di tabacco, ad eccezione dei tabacchi Orientali, prodotti solo in Grecia e Bulgaria”. Il Belpaese è in buona compagnia in Europa. Infatti producono tabacco anche Spagna, Polonia e Grecia (tra il 15 e il 16 per cento del totale), Bulgaria (nove per cento), Croazia, Francia, Germania e Ungheria (tra il tre e il cinque per cento), e Romania e Belgio con produzioni minori. Malgrado il grande numero di Paesi coltivatori, il Vecchio continente ha un peso secondario sulla produzione mondiale, che secondo il Ministero si aggira sui cinque milioni di tonnellate l’anno, il 45 per cento delle quali provengono dalla Cina. “Il tabacco greggio prodotto nella Ue rappresenta circa il 3,7 per cento della produzione mondiale complessiva e il 7,5 per cento del commercio mondiale”.

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I numeri dell’Italia e il definanziamento Pac

Tornando all’Italia, benché mantenga il primato nell’Ue i dati Istat dicono che la produzione si è ridotta di due terzi nell’arco di 15 anni. Nel 2009 le coltivazioni di tabacco coprivano circa 28.500 ettari a livello nazionale. Un’estensione ancora notevole, superiore, per fare un paragone, a quella destinata alla produzione di colza. Il raccolto sfiorava un milione di quintali l’anno. Nel 2019 la superfice coltivata si era ridotta a poco più di 14 mila ettari, con una produzione di meno di 420 mila quintali. Lo scorso anno le coltivazioni si sono ulteriormente ridotte a 11 mila ettari, con una produzione che supera di poco i 300 mila quintali. Sul crollo del tabacco made in Italy pesa anche l’esclusione della coltivazione dalla Politica agricola comune dell’Unione europea. Niente finanziamenti nella Pac 2014-2020, insomma, con decorrenza a partire dal 2015. Decisione che per gli esperti non è stata secondaria per il declino del tabacco italiano.

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I problemi del tabacco di Sicilia

“Si tratta di un segnale chiaro che a livello europeo si intende disincentivare la produzione nazionale, favorendo di fatto le coltivazioni straniere e in particolare quelle dell’Africa settentrionale“, osserva Randello. Malgrado ciò, come detto, di recente non sono mancati i tentativi di reintroduzione. Qualcuno è tuttora in corso. “Parliamo di pochi metri quadri, che però confermano che il tabacco siciliano cresce molto bene. Se dovessi dire che esiste un futuro per questo settore, tuttavia, mentirei”, ammette Randello. L’agronomo ricorda che il processo di trasformazione del tabacco è lungo e complesso. “Dopo la raccolta bisogna essiccarlo, aromatizzarlo, poi lavorarlo per trasformarlo in sigari e sigarette. Purtroppo qui da noi mancano gli stabilimenti per fare tutto questo”. A possedere le strutture adatte, secondo il Ministero, sono solo poche regioni. “Il 97 per cento del tabacco viene coltivato in Campania, Umbria, Veneto e Toscana“.

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Un progetto “biologico” andato in fumo

A causa della scarsità di mezzi e del trend nazionale in discesa, anche un interessante progetto ipotizzato negli anni scorsi da Randello non è stato realizzato. “Con il team guidato dal professor Guarnaccia avevamo iniziato a ragionale su un sigaro totalmente biologico, per quanto strano possa apparire, perché si tratta comunque di fumo”. L’esperimento, spiega l’agronomo, sarebbe stato unico nel suo genere. “So che negli ultimi anni ci sono stati dei tentativi di commercializzazione di prodotti a base di tabacco siciliano, in particolare nel palermitano, ma per quanto ne so si sono rivelati effimeri“. Le prospettive del settore, ribadisce l’agronomo, non sono rosee. “Quella del tabacco è stata una coltivazione storica, con risvolti molto interessanti a livello economico. Bisogna guardare con interesse a tutte le iniziative in corso, ma la strada è in salita“.

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Valerio Musumeci
Valerio Musumeci
Valerio Musumeci, giornalista e autore. Nel 2015 ha esordito con il pamphlet storico-politico "Cornutissima semmai. Controcanto della Sicilia buttanissima", Circolo Poudhron, con prefazione della scrittrice Vania Lucia Gaito, inserito nella bibliografia del laboratorio “Paesaggi delle mafie” dell'Università degli Studi di Catania. Nel 2017, per lo stesso editore, ha curato un saggio sul berlusconismo all'interno del volume "L'Italia tradita. Storia del Belpaese dal miracolo al declino", con prefazione dell'economista Nino Galloni. Nel 2021 ha pubblicato il suo primo romanzo, "Agata rubata", Bonfirraro Editore.

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