Il Tar non ferma le trivelle, ma neppure le associazioni ambientaliste siciliane. Un’ordinanza del Tribunale amministrativo ha respinto il ricorso con il quale il comune di Noto ha provato a sospendere le ricerche di gas della francese Maurel et Prom, autorizzate dalla Regione lo scorso luglio. Per il presidente di Legambiente Sicilia, Giafranco Zanna, è “ipocrita” distinguere – come ha fatto il Tar – tra ricerca ed estrazione. Niente drammi, però. L’ordinanza “è solo una passaggio tecnico” che non inciderà sugli altri ricorsi in ballo, l’ultimo dei quali è stato depositato l’8 novembre da Legambiente, Zero Waste, Wwf e Italia Nostra.
Tar, bocciato il comune di Noto
La decisione del Tar poggia su due basi. La prima riguarda i “dubbi sulla legittimazione ad agire del Comune di Noto, in considerazione della circostanza che le aree coinvolte dal rilievo geofisico in questione appaiono estranee al contestato progetto”. In sostanza, non è il Comune – che dovrà pagare 1600 euro di spese processuali – il soggetto che avrebbe dovuto ricorrere, perché l’area dell’intervento si estende oltre. C’è però anche altro: “Non sussistente – si legge nell’ordinanza – il periculum in mora”, perché si tratta di una “mera prospezione”, “differente dall’attività di ricerca”. Secondo il Tribunale, quindi, “non c’è prova che, allo stato attuale” ci siano “modifiche dello stato dei luoghi”.
Legambiente: “Distinzione ipocrita”
Tra le righe dell’ordinanza torna la differenza tra prospezione, ricerca e future trivellazioni. Il Tribunale si limita a valutare l’impatto della prima fase. Per Zanna, però, si tratta di una distinzione tra “ipocrita” e “non regge”: “È chiaro – spiega il presidente di Legambiente – che la prospezione viene fatta con l’obiettivo di trivellare”. Anche perché di mezzo ci sono i 14 milioni che Maurel et Prom ha investito nell’area. Non una spesa ma – appunto – un investimento, che in quanto tale mira a un ritorno economico. “Per questo motivo – continua Zanna – siamo contrari. Se dobbiamo uscire dall’economia del petrolio e del gas, allora è giusto farlo subito, senza neppure spendere soldi per la ricerca. Il diniego va imposto già all’inizio”. L’approccio di Legambiente Sicilia è sostenuto da una sentenza del Tar sardo, che nel 2015 – a proposito di una richiesta di Saras nella provincia di Oristano – ha sancito come “una valutazione adeguata” dev’essere presa alla luce del fatto che “una ricerca di gas naturale si evolve potenzialmente nella successiva attività di estrazione”.
Il ricorso delle associazioni ambientaliste
Nonostante l’ordinanza, il presidente di Legambiente professa “massima serenità”. La richiesta di sospensiva “non è nulla di che”, ma solo “un passaggio tecnico, che ha chiesto il comune di Noto, a mio parere sbagliando”. Il ricorso depositato dalle associazioni ambientaliste non parla di sospensiva ma si rivolge contro la Regione e la Maurel et Prom con un approccio più organico, che attacca il via libera da più punti. Il primo riguarda un conflitto di fondo tra la decisione regionale e le norme nazionali. Il nulla osta alle prospezioni violerebbe “la sospensione delle procedure e dei permessi di ricerca per l’intero territorio nazionale” prevista dalla legge 12/2019. Sarebbe quindi in contrasto con la moratoria che blocca le operazioni fino “all’adozione del Piano per la Transizione Energetica Sostenibile delle Aree Idonee”. Dall’ampiezza con cui verrà interpretata questa legge dipende probabilmente l’esito del ricorso. Secondo Legambiente, Zero Waste, Wwf e Italia Nostra ci sarebbero anche vizi a livello amministrativo e costituzionale.
Che fine ha fatto il Piano nazionale?
In parallelo, il Coordinamento nazionale No Triv ha ricordato come – al netto della moratoria in essere – si resta in un limbo anche perché, “tra un Governo Conte e l’altro, si sono perse le tracce del Piano per la Transizione Energetica Sostenibile delle Aree Idonee (Pitesai), complice la tribolata riorganizzazione del Mise”. Il Piano serve per individuare – su scala nazionale e con un progetto organico – le aree dove svolgere attività di ricerca e di estrazione. Stando agli atti parlamentari – ricorda il coordinamento – la prima bozza avrebbe dovuto essere presentata entro il 30 luglio, con slittamento al 30 ottobre a causa della mancata designazione di due rappresentanti della Conferenza delle Regioni in seno ad un tavolo tecnico. Dopo le elezioni di primavera, sono state indicate Marche ed Emilia Romagna. “Ma del Pitesai non v’è traccia”.
“Scelta della Regione illegittima e contraddittoria”
Nel caso siciliano, di mezzo non ci sono solo le norme nude e crude. Andrebbero valutate – sottolineano le associazioni – le ripercussioni negative a livello ambientale ed economico: “Se risultassero positivi gli esiti del rilievo geofisico per il quale è stata richiesta autorizzazione – si legge nel ricorso – seguirebbero le opere di trivellazione per idrocarburi in territori Patrimonio dell’Umanità”. Un’eventualità che “stride nettamente con le finalità dei Piani paesaggistici delle ‘ex province’ di Siracusa, Catania e Ragusa”. Per questo motivo i rappresentati delle associazioni definiscono la scelta della Regione non solo “illegittima” ma anche “contraddittoria in termini di scelte strategiche di tutela e conservazione del territorio”. Il ricorso delle associazioni, infine, ricorda una relazione tecnica in cui il consulente Onu Philippe Pallas sottolinea “il rischio non trascurabile legato alla sismicità del Val di Noto” e “l’esperienza di altri Paesi in cui l’abbandono di pozzi improduttivi sommariamente sigillati avrebbe provocato la commistione fra falde profonde salate e falde dolci”. Su queste basi, si prosegue quindi per via giudiziaria. Una strada che Zanna definisce una “estrema ratio” dopo aver “invocato scelte politiche in tema di energia rinnovabile e rispetto di un modello economico sostenibile nel territorio”.