Rieccoci. A poco più di un mese dall’inchiesta nei Nebrodi, un’altra truffa per percepire illecitamente fondi europei per l’agricoltura. Se gli arresti di gennaio hanno individuato una filiera che legava clan ed enti di controllo locali, questa volta sono coinvolti funzionari regionali. Si riaccende l’attenzione sui sistemi di erogazione dei contributi, con il M5S che pone l’accento sui processi, chiedendo la loro “dematerializzazione”, e Coldiretti che sottolinea soprattutto il fattore umano. Cioè la corruzione.
Coldiretti: “Bene i controlli”
Per Coldiretti Sicilia le indagini dimostrano “quanto sia determinante un’azione di controllo continua e costante di tutti i passaggi burocratici”. Il nodo è la corruzione, che “mette in ginocchio le aziende sane”. “I fondi dell’Unione Europea – prosegue Coldiretti – sono destinati alla crescita e allo sviluppo soprattutto delle aree interne e il loro spostamento verso obiettivi criminali mette a repentaglio il progresso dell’intera Regione”.
La digitalizzare non basta
L’europarlamentare del Movimento 5 Stelle Ignazio Corrao ha chiesto di “intensificare i controlli”. “Occorre riformare il sistema, potenziando quelli a campione, non è più possibile accorgersi dopo anni che sono stati versati i milioni di euro indebitamente e poi magari constatare con stupore che siano irrecuperabili”. I deputati M5S dell’Ars, Angela Foti e Luigi Sunseri, puntano contro i processi ancora troppo legati a carte e timbri: “Occorre dematerializzare i procedimenti amministrativi per gli assessorati interessati da bandi”. Digitalizzare avrebbe “garantito agli inquirenti la possibilità di accesso in tempo reale a tutti i documenti, e non avrebbero potuto permettere sostituzioni di documenti e falsificazioni”. Per quanto anche l’Agenda digitale preveda la dematerializzazione dei processi, va anche ricorda che le truffe sui fondi Ue elargiti ai clan dei Nebrodi aveva uno dei cardini proprio nello sfruttamento dei dati resi disponibili dalla piattaforma digitale. Non basta quindi digitalizzare per risolvere.
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L’inchiesta
L’operazione “Gulasch – amici miei” ha portato all’esecuzione di 24 misure cautelari e al sequestro di beni per 36 milioni di euro. Alla rete appartenevano imprenditori, funzionari pubblici e un componente dell’ufficio di gabinetto dell’assessore regionale all’Agricoltura. L’inchiesta ha viaggiato su due filoni. Il primo ha individuato i raggiri di imprenditori che, tramite fatture e documenti falsi, hanno gonfiato i costi realmente sostenuti per incassare contributi maggiori. Il secondo ha accertato pratiche clientelari da parte di pubblici ufficiali in servizio presso l’Ipa di Palermo. La Guardia di Finanza ha individuato “complicità tra privati che avanzavano le domande di finanziamento e i dirigenti/funzionari” incaricati di gestirle, in modo da ottenere i fondi europei “attraverso l’alterazione o addirittura la sostituzione dei documenti a supporto delle richieste”.