La buona tavola traina il settore turistico. Dal 2016 al 2023 i turisti “enogastronomici” italiani – cioè coloro che negli ultimi tre anni hanno svolto almeno un viaggio con pernottamento con la motivazione primaria di bere e mangiare – sono passati dal 21 al 58 per cento, con una crescita di ben 37 punti. Tra le mete preferite spicca la Sicilia, indicata dal 46 per cento turisti, seguita dall’Emilia-Romagna (44 per cento) e dalla Campania (40 per cento). Sono i dati dell’ultimo rapporto sul turismo enogastronomico realizzato dall’Aite, Associazione italiana turismo enogastronomico.
Italia nella top 3 delle mete enogastronomiche
Il buon cibo e il buon vino rendono l’Italia appetibile anche per i turisti stranieri. Secondo il report l’attrattiva dello Stivale “risulta molto alta tra gli stranieri, essendo nella ‘top 3’ dei Paesi preferiti dai turisti europei per i prossimi viaggi”, e in generale dopo il periodo del Covid il turismo enogastronomico “è riconosciuto dalla comunità internazionale come un possibile driver per uno sviluppo armonioso e sostenibile dei territori”. Malgrado ciò, si denuncia nel documento, “a livello politico manca consapevolezza sul valore dell’enogastronomia per il turismo italiano”.

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Chi è il turista enogastronomico
Secondo i dati raccolti dall’Aite, il turista enogastronomico italiano è in prevalenza uomo (51 per cento) di età compresa tra i 35 e i 54 anni (45 per cento), e proveniente dal Sud e dalle Isole (37 per cento). A livello di attività, predilige le esperienze culinarie nei ristoranti (94 per cento), ma apprezza anche le visite ai luoghi di produzione (74 per cento) e gli eventi enogastronomici (60 per cento), ma solo in parte tour e itinerari tematici (48 per cento). Il report fornisce anche altri dettagli sulle abitudini dei turisti. “Il 48 per cento desidera fare esperienze ludiche (come escape room, caccia al tesoro, cene con delitto) in cantina, il 42 per cento nei birrifici, il 44 per cento nei frantoi”. Da non sottovalutare i risvolti culturali delle visite. Infatti ben il 76 per cento “vorrebbe sapere di più della cultura enogastronomica del luogo visitato”, in particolare “storia e aneddoti relativi all’azienda”. Non mancano risvolti lavorativi. Il turista italiano è “bleisure”, ovvero “abbina i viaggi di vacanza a quelli di lavoro e l’ambito rurale diventa il luogo dove poter fare smart working”. Abitudini che rendono necessari “spazi e servizi adeguati” da parte di chi lo ospita.

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Primato del vino (quasi) a rischio
Il vino è tra gli interessi principali dei turisti enogastronomici, ma il suo primato è in discussione. Al momento le cantine restano in testa alla scelta di chi visita i luoghi di produzione (34 per cento), seguite da caseifici e aziende agricole (28 per cento). Tuttavia negli ultimi tre anni “l’interesse verso il formaggio ha raggiunto (quasi) quello per il vino”. Sempre più spesso il turista “vorrebbe visitare luoghi quali salumifici e caseifici”, mentre per il beverage “è interessato a tutte le differenti proposte, gin, cocktail e bevande non alcoliche”. Le scelte variano a seconda delle fasce d’età. Il 35 per cento dei turisti tra i 18 e i 24 anni e il 38 per cento di quelli tra 25 e 34 anni “preferisce eventi e festival del vino”. Viceversa i cosiddetti “millennials” e “boomers” – nati rispettivamente tra il 1980 e il 1996 e tra il 1946 e il 1964 – scelgono con più frequenza gli itinerari tematici. Quanto ai veri e propri anziani, il 41 per cento di loro “è più attratto dalle visite in cantina”. In generale, lo scarto tra le percentuali di interesse e la reale fruizione nelle diverse attività è molto ampio, e dimostra che il turismo enogastronomico potrebbe essere un volano di crescita per tutto il Paese.

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I suggerimenti per la politica
La politica, come detto, non spicca per reattività. Aite fa notare che l’enogastronomia è presente nei portali turistici regionali, “ma il livello di strutturazione dell’offerta è eterogeneo e sono troppo poche le esperienze evidenziate”. Sul piano legislativo, inoltre, “il recepimento delle normative sull’enoturismo e l’oleoturismo è in divenire, e non tutte le Regioni hanno emanato i decreti attuativi”. L’associazione formula alcune proposte. Tra le altre “creare un quadro normativo favorevole allo sviluppo del turismo enogastronomico”, anche attraverso “standard minimi coerenti tra le regioni per consentire lo svolgimento di attività turistiche in tutti i luoghi di produzione, e non solo per il vino e l’olio”. Importante il tema della semplificazione. In questo senso “occorre modificare alcune norme, per esempio quelle sull’Haccp, per facilitare le esperienze turistiche negli spazi produttivi”, ma allo stesso tempo “definire e riconoscere i requisiti minimi per l’esercizio delle professioni legate al turismo e all’enogastronomia”. Infine, scrive Aite, “bisogna creare le condizioni per trasformare le aree svantaggiate e marginali in destinazioni per il turismo enogastronomico”.