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I punti deboli di quota 100 (e come potrebbe cambiare)

Le domande di pensionamento sono (molto) inferiori al previsto. Poche quelle avanzate dalle donne. Per le casse dello Stato è un bel risparmio, ma la norma potrebbe essere modificata

Una zavorra per le casse dello Stato, ma con meno domande del previsto, con poche donne coinvolte. Questa è, fino a ora, “quota 100”, la misura che permette di andare in pensione a 62 anni e 38 di contributi. La misura, entrata in vigore nel 2019, è in fase di sperimentazione fino al 2021. Ma già si ragiona su possibili correttivi, suggeriti dai dati.

Domande a rilento, soprattutto per le donne

Da sempre il punto più contestato è il peso economico della misura. L’ultima stima della Ragioneria generale dello Stato indica una cifra da vertigine: 63 miliardi di euro da qui al 2036 e 8,8 nei prossimi due anni. Una zavorra ce vale un onere aggiuntivo annuo pari allo 0,2 per cento del Pil. Ma i punti deboli non si fermano qui. Nonostante la grande visibilità avuta da quota 100, il provvedimento non sembra conquistare i lavoratori. Secondo gli ultimi dati pubblici dell’Inps, le domande presentate sono state poco meno di 176 mila, circa un terzo in meno del previsto. Come prevedibile, il grosso delle richieste (due su tre) è arrivato da lavoratori dipendenti pubblici e privati. Colpisce (ma non sorprende) il dato sulle donne, che hanno presentato appena 45.680, un quarto del totale. Probabile che sia una conseguenza del divario di genere in termini di occupazione e salario. La vita contributiva di una donna, mediamente più discontinua, potrebbe aver ostacolato la richieste, anche perché l’assegno medio riservato ai “quotisti” dovrebbe essere – secondo stime del primo governo Conte – tagliato del 6 per cento.

Quota 100 in Sicilia

Le domande presentate nelle province siciliane, secondo gli ultimi dati pubblici dell’Inps, sono state 16.335, poco più del 9 per cento di quelle dell’intero Paese. Oltre un quarto di quelle presentate in regione arriva da Palermo (4230), seguito da Catania (3852) e Messina (1929). È chiaro che sui numeri pesi il totale della popolazione. Ma ha un peso, oltre alla tendenza ad avanzare la domanda, anche l’anzianità della forza lavoro. Ecco perché ai piedi del podio non c’è – come ci si potrebbe aspettare – Agrigento (1312 domande) ma, seppur di poco, Trapani (1362) e Siracusa (1321). Sotto le mille richieste Ragusa (dove ne sono state presentate 904), Caltanissetta (con 773) ed Enna (651).

Meno domande, più risorse

La domanda debole è stata confermata dal Sole 24 Ore, che ha potuto visionare il monitoraggio che l’Inps ha inviato a metà settembre al ministero del Lavoro e a quello dell’Economia. Meno richieste si traducono infatti in minori oneri per lo Stato. Già a luglio, il governo aveva ipotizzato un risparmio di 1,5 miliardi sui 3,78 miliardi previsti. Gli ultimi rilievi indicano una minore spesa di 1,76 miliardi. Uno “sconto” del 45 per cento che permetterà di allocare le risorse altrove. Senza la Lega, grande sponsor di quota 100, però, potrebbe esserci altro: se non pare in discussione la presenza del provvedimento nella legge di Bilancio, il governo starebbe studiando alcuni ritocchi, come un innalzamento dell’età a 64 anni per avere l’accesso all’uscita anticipata. Ipotesi meno drastica rispetto a una cancellazione anticipata anche rispetto al termine previsto della sperimentazione.

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Paolo Fiore
Paolo Fiore
Leverano, 1985. Leccese in trasferta, senza perdere l'accento: Bologna, Roma, New York, Milano. Ho scritto o scrivo di economia e innovazione per Agi, Skytg24.it, l'Espresso, Startupitalia, Affaritaliani e MilanoFinanza. Aspirante cuoco, sommelier, ciclista, lavoratore vista mare. Redattore itinerante per FocuSicilia.

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