Sì, c’è un mercato del lavoro che marcia al rallentatore. Sì, il Pil pro capite è molto più basso e gli investimenti sono di scala diversa. Ma il divaricarsi di Nord e Sud Italia non è solo una questione di risorse. È anche colpa della “scarsa qualità istituzionale delle regioni meridionali”, che “riduce l’efficacia della spesa pubblica”. Tradotto: ci saranno anche meno soldi a disposizione, ma vengono gestiti peggio. Lo afferma la Commissione europea nella relazione annuale sull’Italia.
Il caso dei fondi Ue
La Commissione non trascura il nodo delle risorse. La distanza tra Nord e Sud si è ampliata anche perché la spesa pubblica ha imboccato due direzioni opposte. Tra il 2008 e il 2018, quella del Centro-Nord è aumentata dell’1,4 per cento, mentre quella del Mezzogiorno è “diminuita in modo significativo”, dell’8,6 per cento. Ma la situazione, già grigia, peggiora per colpa della malagestione. L’esempio più chiaro, sottolinea la relazione, riguarda i fondi europei nel Meridione. Gli obiettivi di spesa sono stati raggiunti, ma hanno prodotto effetti “limitati”, a causa di “iniziative frammentate”, “ridotta capacità tecnica delle amministrazioni locali”, “monitoraggio debole” e “mancanza di un approccio orientato ai risultati”. In sintesi: stanziare serve a poco senza strategie chiare, competenze e controlli.
Si amplia il divario con il Nord
La Commissione ricorda che la “ripresa parziale” del 2015-2017 ha toccato anche le regioni meno sviluppate, ma senza ridurre “l’elevato livello di disparità” tra Nord e Sud. E dal 2018 la forbice è tornata ad ampliarsi. Di conseguenza, “le regioni meridionali continuano a rimanere indietro”. Il documento della Commissione non fa riferimento alle singole regioni. Ma è quantomeno improbabile che non si riferiscano a quelle in fondo alla classifica. Sicilia e Calabria sono le regioni più povere se si considera il parametro del Pil pro capite. E sono anche quelle con con l’indice di competitività più basso. Sono cioè quelle che offrono a imprese e lavoratori l’ambiente peggiore.
Promozione sulla lotta all’evasione
La relazione annuale ha dato un voto ai provvedimenti varati dall’Italia negli ultimi mesi, in risposta alle ormai consuete “raccomandazioni” della Commissione. L’unica promozione piena arriva per gli sforzi fatti contro l’evasione fiscale. L’Ue apprezza in particolare le norme che spingono l’uso di pagamenti elettronici. “Alcuni progressi” sono stati fatti nelle “politiche sociali” capaci di raggiungere “i gruppi più vulnerabili” (cioè il reddito di cittadinanza) e nel mercato del lavoro. Nel complesso, però, il quadro “resta difficile”: “Il tasso di disoccupazione è ancora elevato e quelli di occupazione e attività rimangono bassi, soprattutto per le donne e i giovani”. Positiva è la valutazione sui tentativi di “rendere la pubblica amministrazione più efficiente”, “favorire la ristrutturazione del settore bancario” e incoraggiare i canali di finanziamento alternativi per Pmi e imprese innovative. Anche se non ci sono stati ancora i passi avanti necessari nella promozione degli investimenti di venture capital.
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Bocciatura su pensioni e concorrenza
I progressi sono “limitati” nella riduzione della tassazione sul lavoro (leggi taglio del cuneo fiscale), nella lotta all’economia sommersa e negli stimoli alla partecipazione femminile al mercato del lavoro. Italia rimandata anche nella lotta alla corruzione e negli sforzi di ridurre la durata dei processi civili. Secca bocciatura, invece, per i provvedimenti sulle pensioni (a partire da quota 100): il loro peso sul totale della spesa pubblica, ancora troppo alto, è un doppio problema. Erode le casse pubbliche e cristallizza il bilancio, impedendo di indirizzare le risorse verso provvedimenti che stimolino la crescita. Pollice verso anche per la concorrenza, che per la Commissione resta ancora troppo limitata.