La decisione dell’Irlanda di introdurre un’etichetta “dissuasiva” per le bottiglie di alcolici, compreso il vino italiano d’importazione, rappresenta “un tentativo di stigmatizzare l’agroalimentare di qualità e un’intero stile di vita”. Non usa mezzi termini Laurent De La Gatinais, presidente di Assovini Sicilia, per commentare il nuovo regolamento di Dublino “autorizzato” a dicembre scorso dalla Commissione europea. “Demonizzare il vino italiano, e l’alcol in generale, non serve a ridurre i rischi per la salute, che si combattono con la conoscenza e l’educazione”, aggiunge De La Gatinais. La decisione dell’Irlanda “non rappresenta un pericolo in sé”, ma potrebbe risultare insidiosa in quanto “precedente” per altri Paesi. L’export, infatti, è una fetta essenziale del fatturato del settore. “Nel 2022 oltre il 50 per cento delle vendite degli oltre novanta soci di Assovini sono avvenute all’estero”, precisa il presidente. Il mercato principale è l’Europa (45 per cento), seguita da America (31 per cento), Asia (16 per cento), Oceania (sei per cento) e Africa (due per cento).

Leggi anche – Alcol e cancro: battaglia europea a Strasburgo sulla difesa del vino
Le esportazioni siciliane a Dublino
Secondo l’Osservatorio dell’Unione italiana vino, l’anno scorso sono stati venduti in Irlanda circa 147 mila litri di vino siciliano, per la maggior parte rossi (101 mila litri) e bianchi “fermi” (46 mila litri). In termini di bottiglie, considerando il classico formato da 0,75 litri, si parla di circa 196 mila pezzi. Un dato in linea con quello del 2021 (144 mila litri, 192 mila bottiglie), ma inferiore al 2020 (154 mila litri, 205 mila bottiglie) e soprattutto al 2019 (218 mila litri, 290 mila bottiglie). Il giro d’affari verso Dublino è limitato, sebbene maggiore rispetto a Paesi di popolazione simile come Nuova Zelanda, Norvegia e Slovacchia. Il prezzo di vendita medio stimato dall’Osservatorio per i vini fermi è di 3,7 euro al litro per i rossi e 2,6 euro al litro per i bianchi. Le vendite del 2022 valgono dunque circa 500 mila euro, a fronte di 660 mila euro nel 2019. Va precisato che questi dati tengono conto solo dei vini siciliani Dop, Denominazione di origine protetta, che a livello internazionale comprende i disciplinari Doc e Docg, ma non degli Igp e Igt.

Leggi anche – Dop, Igp, Deco, Pat e le altre. Tutti i marchi per i prodotti d’eccellenza
Cosa prevede il regolamento irlandese
Già nel recente passato gli alcolici sono stati protagonisti di una “guerra” delle etichette a livello europeo, con il tentativo di inserire un “healt warning” su tutte le bottiglie vendute nell’Unione, poi bocciato dall’Europarlamento. Non solo. Vino e birra sono osservati speciali nel “Nutriscore”, sistema di etichettatura degli alimenti adottato in Francia e in altri Paesi, che boccia molti ingredienti della dieta Mediterranea, e che si discute di introdurre a livello europeo. La decisione dell’Irlanda, inevitabilmente, ha rinfocolato le polemiche. Nel dettaglio, il nuovo regolamento prevede che le etichette sulle bottiglie debbano contenere alcuni “avvertimenti”, precisamente sul “pericolo del consumo di alcol”, in particolare “in gravidanza” (questo “warning”, benché non obbligatorio, compare già su molti vini europei e italiani) sul “legame diretto tra alcol e tumori fatali”, oltre che sui grammi di alcol e il numero di calorie del prodotto. Inoltre è prevista l’indicazione di un sito web con informazioni sull’alcol e i danni correlati.
Leggi anche – Vino e birra, in Europa nuova guerra delle etichette. Italia protagonista
No all’abuso, sì alla cultura
La Commissione europea non ha dato un vero e proprio via libera, piuttosto ha esercitato un “silenzio assenso” nei confronti del regolamento irlandese, presentato il 21 giugno 2022. Il “governo” Ue ha avuto sei mesi per formulare eventuali osservazioni. Scaduto quel termine, lo scorso 22 dicembre, il regolamento è diventato esecutivo. Per De La Gatinais la misura rischia di compromettere un vero e proprio patrimonio culturale, non soltanto italiano. “Pensiamo allo stesso whiskey irlandese, con cantine che lo producono da secoli”. Il presidente di Assovini precisa che va stimolato “un consumo responsabile”, e che bisogna promuovere “la cultura, la formazione e l’arte del buon bere”. Un appello raccolto dal governo Meloni, che si è detto contrario alla decisione di Dublino e Bruxelles. “Se l’Europa intende criminalizzare i prodotti italiani, a cominciare dal vino, troverà un Governo italiano che lavora nel segno opposto”, ha detto nei giorni scorsi il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida.