Moda, l’unica cosa sicura è la data: non tutti i negozi riapriranno

La
data c’è, la certezza di riaprire no. I negozi di abbigliamento
potranno alzare le saracinesche dal 18 maggio, ma non tutti i
commercianti siciliani sono pronti a farlo. Non certo perché hanno
le tasche piene: mancano però le certezze. Aprire è necessario, ma
“Conte non ha detto una parola sulla strategia di contenimento”,
afferma Giorgia Ciavola, titolare del franchising Mango di via Etnea,
a Catania. Riaprire con regole certe vorrebbe dire restare a galla,
visto che il danno è già fatto. Il presidente della Federazione
Moda Italia-Confcommercio, Renato Borghi, ha ipotizzato una perdita
di oltre 15 miliardi di euro, con il rischio chiusura di 17 mila
negozi e 35 mila addetti senza lavoro. Le
disposizioni del governo non sono chiare e mettono in confusione i
commercianti. Data di riapertura a parte, il silenzio. Ciavola nota
come i negozi non abbiano ricevuto informazioni su “tamponi e test,
sulla protezione dei lavoratori, sulla sanificazione e su come far
fronte a queste nuove spese”. A proposito di misure cautelative,
Giovanni Zangrì, responsabile del punto vendita Benetton del centro
commerciale Le Zagare, parla di alcune norme da rispettare: “Si
potrà tenere esposto un solo capo per ogni modello, la merce va
tenuta in magazzino e i clienti, il cui ingresso sarà limitato,
dovranno chiedere ogni volta la misura che desiderano provare. Una
volta indossato, il capo va sanificato e, se non venduto, riposto
nuovamente nel deposito”. Tra
nuove spese, incertezze normative e riduzione attesa dei clienti, non
tutti sono decisi a riaprire bottega: “La Benetton ripartirà –
dice Zangrì – ma non è detto che possa farlo il punto vendita de
Le Zagare. Prevedo un calo delle vendite del 70 per cento e un
afflusso minimo di clientela che potrebbe non garantire la
possibilità di restare aperta in un centro commerciale”. Simile è
la linea di Gigi Tropea, titolare dell’omonimo negozio etneo: “Non
pensiamo di aprire per la data stabilita dal governo. Non c’è
ancora neppure un protocollo ufficiale che ci dica come ripartire,
non c’è chiarezza sulla situazione economica di noi imprenditori e
non ci sono aiuti sufficienti. Io voglio riaprire quando anche bar,
ristoranti e pub potranno farlo. Non ha senso aprire ora se poi non
si può neppure andare a mangiare una pizza”. Alcuni
negozianti si preparano a ripartire, sperando che il presidente della
Regione Nello Musumeci intervenga perché in Sicilia le attività
possano farlo prima rispetto ad altre zone italiane dove il
coronavirus è più diffuso. “Aprire è necessario e dobbiamo farlo
il prima possibile”, spiega Ciavola. “Avremmo ritenuto più
giusto se il governo ci avesse garantito di coprire, in qualche modo,
i nostri costi fissi, contribuendo in maniera importante almeno sui
canoni di locazione. Ma nulla ancora si è fatto in sostegno delle
piccole e medie imprese”. Alle spese usuali, infatti, se ne
aggiungono: “I prezzi dei sistemi di protezione sono alti. Ci era
già capitato di acquistare gli igienizzanti, ma adesso il loro costo
è raddoppiato o triplicato”. Il settore si aspetta un contributo
statale, che potrebbe arrivare sotto forma di credito d’imposta al 50
per cento. Ma ancora nulla di certo: il cosiddetto “decreto aprile”
arriverà a maggio e i costi di sanificazione pre-apertura dovranno
essere anticipati dai commercianti. Fino al 18 maggio sarà
impossibile acquistare un capo in un negozio. E anche dopo le
prospettive non sono rosee. I clienti si sono quindi affidati
all’e-commerce. “La Benetton ha avuto un incremento delle vendite
online del 300 per cento”, riferisce Zangrì. Ma per le piccole
imprese puntare sul commercio elettronico è più complicato. “Chi
ha acquistato online lo ha fatto direttamente in azienda. Noi –
dice Giorgia Ciavola – alla data del 18 maggio, come negozio
fisico, non avremo lavorato per 70 giorni. Nessun incasso. Solo
spese”. “Quello delle vendite online – conferma Tropea – è un
tema delicato. Noi abbiamo venduto, ma non mi sembra corretto nei
confronti di chi non può offrire lo stesso servizio. Forse per
equità si sarebbe dovuta vietare la vendita di prodotti non di prima
necessità”. Adesso però, i negozianti hanno bisogno di chiarezza.