Sanità, allarme autonomia differenziata. Gimbe: “Più disuguaglianze Nord-Sud”

In Italia lasanitàviaggia avelocità diverse tra Nord e Sud– con sette regioni tra cui la Sicilia “inadempienti” rispetto agli obiettivi fissati – e l’autonomia differenziataproposta dal governo Meloni rischia diaggravare il problema,anziché risolverlo. È una bocciatura netta quella contenuta nell’ultimoreport sull’autonomia differenziatain sanità realizzato daGimbe, Gruppo italiano per la medicina basata sulle evidenze.Il progetto rischia di avere “un esito infausto”, peggiorando “lo stato di salute del Sistema sanitario nazionale” e aggravando “l’entità delle attualidiseguaglianze regionali“. Senza modifiche strutturali, infatti, la norma porterà alla “legittimazione della‘frattura strutturale’ Nord-Sud,che comprometterà l’uguaglianza dei cittadini nell’esercizio del diritto costituzionale allatutela della salute“. I tecnici riconoscono le “numerose modifiche migliorative apportate al testo durante l’iter parlamentare”. Al tempo stesso, però, “rimangononumerose criticità e lacuneche dovrebbero essere oggetto di discussione, finalizzata alla loro modifica”. Leggi anche –Personale, organizzazione e autonomia finanziaria: l’Istat boccia i Comuni Secondo gli ultimi dati, come detto, sette regioni risultanoinadempientirispetto agli obiettivi sanitari fissati dalNsg, Nuovo sistema di garanzia,che monitora il raggiungimento dei Lea, Livelli essenziali di assistenza. Si tratta della Provincia autonoma diBolzano(200,8 punti),Campania(198,6),Sicilia(183),Molise(196,9),Sardegna(169,7)Calabria(160) eValle d’Aosta(147,2). Il Paese, insomma, è spaccato a metà. “Il calcolo conferma anche per il 2021 ilrilevante gap Nord-Sud. Nel Mezzogiorno solo Abruzzo, Puglia e Basilicata si collocano tra le 14 Regioni adempienti, peraltro con i punteggi più bassi tra quelle promosse”. Il risultato è unaumento della mobilità sanitaria,“che nel 2021 ha toccato un valore di 4,25 miliardi: unfiume di denaroche scorre prevalentementeda Sud verso tre Regioni settentrionalidove si concentra il 93,3% dei saldi attivi”. Non a caso, osservano gli autori del rapporto, si tratta “proprio delle stesse Regioni –Emilia-Romagna, Lombardia, Veneto– che hanno già sottoscritto ipre-accordiper le maggiori autonomie”. Leggi anche –Autonomia differenziata, Landini: “Pronti a contrastarla con ogni mezzo” Ildivario,insomma, sarebbe favorito enon risolto dalla riforma.“L’attuazione dimaggiori autonomie in sanità,richieste proprio dalle Regioni con le migliori performance sanitarie e maggior capacità di attrazione, non potrà cheamplificare tutte le diseguaglianze già esistenti“. Al momento la norma non prevede particolari filtri alle richieste delle Regioni. “La possibilità di richiederemaggiori autonomie,senza fornire alcuna motivazione, su qualsiasi ambito relativo alla materia‘tutela della salute’rende impossibile valutarne lepotenziali conseguenze“. Fuori dal linguaggio burocratico, l’autonomia differenziata “potrebbe avereconseguenze assolutamente non prevedibili“. Alcuni “rischi potenziali”, però, si possono prevedere già oggi. In particolare, espandendo i vincoli di bilancio per alcune regioni, potrebbe verificarsi un“peggioramento delle performance”e“aumento delle diseguaglianze”nelle altre. Più soldi in una zona del Paese, meno nelle altre. Situazione che potrebbe innescare altreconseguenze a catena. Leggi anche –Autonomia differenziata per tutti, ok del Senato. Il testo passa alla Camera A pagare potrebbero esseregli stessi abitanti delle Regioniche ottengono l’autonomia speciale. I tecnici infatti ipotizzano un “aumento dellediseguaglianze nella propria Regioneper alcune fasce socio-economiche e per l’area geografica di residenza”. Una sanità più autonoma, insomma,non sarebbe necessariamente più accessibile.Altra conseguenza della riforma potrebbe essere un “aumento del fenomeno della mobilità sanitaria passiva”, ovvero dellespese sostenute dalle Regioniper pagare le prestazioni sanitarie effettuate dai propri cittadini oltre confine. E ancora, Gimbe teme lo “spostamento di rilevanti quote diofferta sanitaria dal pubblico al privatoaccreditato”. Questa tendenza, del resto, è messa nero su bianco anche nell’ultimo rapporto su Ospedali e Salute realizzato da Aiop e Censis, ed è dovuta soprattutto aiproblemi su prenotazioni e liste d’attesa.Infine, l’autonomia differenziata potrebbe portare a un “disallineamento dei sistemi informativi sanitari”. In altre parolecomplicherebbe la gestione del compartoanziché migliorarla. Leggi anche –Sanità e autonomia differenziata: per la Sicilia la strada è tutta in salita Il processo di attuazione dell’autonomia differenziata, ricorda Gimbe, “è iniziato nell’ottobre 2017, attraversando finoratre legislature e cinque Governi“. Le norme, infatti, sono state modificate nel corso dei governiGentiloni, Conte I, Conte II, Draghi e Meloni.Al momento, dopo l’approvazione inSenato,il provvedimento è all’esame della Commissione Affari costituzionali dellaCamera.Gimbe elenca le modifiche più urgenti. Nell’ultima versione del testo “le Regioni possono chiedere qualsiasi forma diautonomia su 23 materie,senza fornire motivazioni”. Tra esse c’è la sanità, ma ancheistruzione, infrastrutture, energia e Protezione civile.Il Parlamento “viene di fatto esautorato” dalla valutazione delle richieste. Quanto aiLep, Livelli essenziali delle prestazioni,introdotti dalla norma, si sovrappongono aiLea, Livelli essenziali di assistenza,già utilizzati per la “tutela della salute”. Ultimo ma non meno importante, non vengono stanziate cifre, né “per ilraggiungimento dei Lep” né tantomeno “per il recupero deidivari tra le varie aree del Paese“.