I prezzi calano, i pastifici chiudono: l’economia del grano in Sicilia

Con circa 285 mila ettari coltivati e
oltre 8 milioni di quintali di prodotto raccolto, la Sicilia è una
delle regioni italiane dove il grano abbonda. Un risultato notevole,
nonostante le difficoltà economiche legate ai prezzi bassi, che
avviliscono i produttori e che spesso li spingono ad abbassare la
qualità delle pratiche di coltivazione. Ma la Sicilia è anche la
terra in cui sono registrate trenta varietà di grani da
conservazione, tra cui l’ormai celebre Tumminia. Qui opera il
Consorzio di Ricerca Gian Pietro Ballatore: grazie all’impegno di
Giuseppe Russo e Bernardo Messina, quella che un tempo era
un’istituzione di monitoraggio nazionale della filiera del grano, è
diventata una solitaria torre di controllo regionale. La coltivazione di grano occupa circa
1,8 milioni di ettari di superficie, producendo circa 7 milioni di
tonnellate tra frumento duro e tenero (dati Istat 2018). In Sicilia –
secondo Coldiretti Sicilia/Istat – solo nel 2018 si era registrata la
perdita di oltre 12 mila ettari a causa del maltempo. Ma negli ultimi
cinque anni la superficie seminata a grano duro in Sicilia ha
mantenuto i suoi numeri, a differenza dei cinque anni precedenti, in
cui si assisteva a continui crolli. Fra le varietà di grano quella
più diffusa è il Simeto, seguita da Duilio, Ciccio, Mongibello e
Arcangelo. Quando si parla di grani antichi, cioè quelli iscritti
nel registro delle varietà da conservazione, le più diffuse sono
Tumminia, Perciasacchi, Russello, Bidì o Margherito (molte vicino al
Senatore Cappelli). Anche se non ci sono dati confermati, il
Consorzio stima la superficie vocata ai grani antichi in 3 mila
ettari. La produzione di grano 2018/2019 sembra essersi espressa a
macchia di leopardo. Un calo significativo è stato riportato da
alcuni produttori nella zona del corleonese, dove si parla di una
flessione poco olre il 10 per cento rispetto alle scorse annate.
Nella zona centro-orientale è rimasta invece costante. Solo nel 2019 sono state effettuate 5.971 analisi su lotti di grano duro, pari a 589.339 quintali (circa il 7,5 per cento della produzione media regionale). C’è stata una leggera flessione in termini di qualità proteica, uno degli indicatori principali per la determinazione del prezzo del grano. Si è passati dal 12 per cento del 2018 all’11,51 per cento di quest’anno. Tuttavia si è registrato un aumento del peso ettolitrico medio, che ha superato gli 81,66 kg/hl del 2019. Le produzioni mantengono una bassa umidità, indice che conferma l’elevata qualità sanitaria del grano siciliano. Ciò significa che sia nei campi sia nei silos il rischio di sviluppo di microtossine o miceti infestanti è quasi inesistente. Allora perché, nonostante questi numeri confortanti, il contenuto proteico rimane basso? “I nostri agricoltori dispongono sia delle abilità sia delle conoscenze tecniche per ottenere grano di elevata qualità. Il problema nasce dall’incertezza che l’impegno e l’investimento dedicato per realizzare una coltura di qualità siano ripagati adeguatamente, al momento della vendita del prodotto”, si legge sul Report di Monitoraggio della Qualità Merceologica del Grano Duro in Sicilia stilato dall’Assessorato dell’Agricoltura siciliano e dal Consorzio di Ricerca Gian Pietro Ballatore. È proprio questa incertezza a scoraggiare il settore dall’alzare il livello della qualità della cerealicoltura. Leggi anche–Vendemmia ’19 di qualità. “Ma i vini siciliani non abbiano fretta di piacere” Secondo Bernardo Messina tutto ruota
intorno al prezzo. “Innanzitutto in altre regioni come la Puglia,
il grano costa 4-5 euro in più al quintale”. Tanto, se si
considera che il prezzo attuale di quello siciliano è di 22 euro.
“In più – continua Messina – nella regione il mondo della
trasformazione si è indebolito. Nel 1981 avevamo 41 pastifici, oggi
ne abbiamo cinque, con un ritmo di chiusura di quasi un pastificio
all’anno. Per questo oggi la Sicilia è costretta a portare fuori dai
propri confini il 50 per cento del suo grano. È un prodotto che
viene valorizzato in altri territori e questo, in qualche modo, ci
indebolisce”. La panificazione sta supportando la filiera: la
semola rimacinata resta sul territorio. Ma non basta: “Venendo
pagati poco, non essendoci un incentivo a produrre bene,
l’agricoltore fa economia, magari lo fa in modo sbagliato,
risparmiando su concimi e azoto”. La soluzione c’è e non è impossibile.
Il sistema “grano siciliano” può aumentare la qualità del
proprio prodotto orientandosi verso contratti di filiera. Alcune
aziende li stanno sostenendo e attuando, ma ancora non basta.
Coldiretti è tra gli enti promotori di questo tipo di accordi che
garantiscono un prezzo commisurato alle risorse impiegate, al calo
delle importazioni del Canada e al potenziamento della vendita
diretta nei mercati Campagna Amica, oltre che alla qualità del grano
siciliano. “Circa il 10 per cento del grano prodotto in Sicilia è
di buonissima qualità, con il 13 per cento di proteine e un peso
ettolitrico maggiore di 80. Significa che anche in Sicilia si può
fare un prodotto d’eccellenza. Se si pagasse meglio, la percentuale
potrebbe aumentare”, spiega Messina. Inoltre, vanno premiate le
produzioni di elevata qualità e le certificazioni dei prodotti
finiti come Qualità Sicura, marchio garantito dalla Regione Sicilia.
Secondo quanto rivela Coldiretti Sicilia molti produttori hanno
scelto una strada diversa per il proprio grano: invece di coltivarlo
e venderlo, hanno iniziato a trasformarlo, realizzando anche farina,
biscotti e pane, che smerciano direttamente. I marchi tutelerebbero
anche il prezzo di questi beni. La Sicilia può contare sugli occhi e le analisi del Consorzio di Ricerca Gian Pietro Ballatore. Questa rete per il monitoraggio della qualità merceologica del grano, implementata a partire dal 1999, ha operato su scala nazionale fino al 2017. Poi è rimasta attivo solo nella regione. Grazie alla collaborazione del Servizio 5° del Dipartimento Regionale dell’Agricoltura, il Consorzio continua a operare coinvolgendo 25 centri di ammasso siciliani. Le analisi condotte in questi centri prendono in considerazione la componente proteica, il peso ettolitrico, il contenuto di glutine, l’indice di giallo e l’umidità, cioè i parametri più importanti per determinare il prezzo del grano. Attualmente è fermo a 22 euro al quintale. Questo monitoraggio ha tre effetti favorevoli sulla filiera siciliana. In primo luogo consente all’agricoltore di conoscere la qualità del proprio grano: in questo modo può gestire al meglio la contrattazione in fase di vendita e ottimizzare le proprie scelte colturali. In secondo luogo, permette di stoccare la merce in modo differenziato, in base alla qualità: nascono così lotti specifici, capaci di rispondere in modo adeguato al mercato. Infine, il monitoraggio contribuisce a costruire una banca dati sulla qualità delle produzioni regionali di grano duro. Ciò permette di generare conoscenza, ottimizzare la programmazione colturale e migliorare la gestione della politica agricola territoriale. Eppure non c’è stata la volontà di mantenere il Consorzio operativo in tutta Italia: “Bastavano – spiega Messina – 30 mila euro per portare avanti il sistema di monitoraggio a livello nazionale”.