Agricoltura biologica, paradosso Sicilia: si produce tanto, si compra pochissimo

Agricoltura biologica, paradosso Sicilia: si produce tanto, si compra pochissimo

La Sicilia èleader nell’agricoltura biologica,ma i siciliani sono agliultimi posti nell’acquistodi prodotti “naturali”. Sembra un paradosso, ma è la realtà fotografata nell’ultimo rapporto “Bio in cifre 2024”, realizzato daIsmea,Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare, in collaborazione con ilCentro internazionale di alti studi mediterraneidi Bari.L’Isola è la regione italiana con più ettaricoltivati a “bio”, oltre 410 mila su un totale di 2,4 milioni, e con piùoperatori biologici,oltre 14 mila su 55 mila presenti in tutto il Paese. Insieme alMezzogiornol’Isola fa sì che l’Italia si avvicini aglistandard europeisulla superfice destinata al biologico (25% entro il 2030). Eppure, i siciliani non comprano iprodotti d’eccellenzacheproducono. “I consumi rimangono per oltre il 60% nelle regioni del Nord, mentre l’area ‘Sud e Sicilia’ raggiunge appena il 12% (contro il 22% dellaspesa per i prodotti alimentariconvenzionali)”, si legge nello studio. A pesare è “il minor potere di acquisto delle famiglie, che prediligono spessoprodotti convenzionalia prezzi inferiori”. Leggi anche –Agricoltura, i primati siciliani: c’è il biologico ma anche il caporalato Il tema delsostegno all’agricoltura biologicaè al centro del G7 Agricoltura in corso in questi giorni alCastello Maniace di Siracusa,sull’isola di Ortigia. La Sicilia, come detto, è leader a livello nazionale. Chi compra prodotti daagricoltura biologicain Italia, molto probabilmente, compra prodotti siciliani. L’Isola è in testa alla produzione daicereali(oltre 56 mila ettari) all’uva(33 mila), dagliagrumi(18.500) allafrutta in guscio(16 mila). Inoltre è al primo posto anche suiprati da pascolo(133 mila ettari), indispensabili per lafiliera delle carne biologica.E ancora, si piazza sul podio per altre produzioni,foraggio, (72 mila ettari),olivo(40 mila),frutta(seimila) ecolture proteiche(leguminose da granella, cinquemila ettari). Ad andare bene, ribadisce Ismea, è tutto il Sud. Più del 58% del bio”% “è concentrato nelMezzogiorno(in gran parte inSicilia, Puglia, Calabria e Campania)”, mentre nel resto d’Italia “la quota di aziende biologiche è più alta nelCentro(21,3%) rispetto alNord(20,5%), al contrario di quanto avviene per il complesso delleaziende agricole“. Leggi anche –Biologico e aree svantaggiate in Sicilia. Bandi per oltre 239 milioni Iltrend del biologicoè increscita negli ultimi anni.Anche in questo caso, a guidare è la Trinacria. “Rispetto al 2022, la superficie biologica è cresciuta sensibilmente inSicilia(+6,7%) eToscana(+6,6%), mentre si è ridotta inPuglia(-3%)”. Quest’ultimo risultato potrebbe avere una spiegazione “tecnica”. A pesare sarebbe “il ritardo nella partenza dei bandi dellaprogrammazione 2023-27,che può aver limitato l’adesione allo schema di certificazione del biologico”.Burocrazia permettendo,anche altre regioni migliorano. “Spicca la crescita relativa su base annua del bio nella provincia autonoma diBolzano(+202,5%) e inValle d’Aosta(53,4%), interamente riconducibile aprati e pascoli,oltre che delMolise(68,8%), dove invece gli incrementi sono distribuiti su diverse colture”. Bene anche “Umbria(+18,2%),Abruzzo(15,2%),Basilicata(10,7%), Liguria (10,4%),Friuli-Venezia Giulia(5,9%),Marche(5,7%) ePiemonte(5,4%)”.Un’Italia sempre più “bio”. Leggi anche –Biologico in Sicilia, gli operatori: “Servono anni di fatica e spalle coperte” Come ricordato da Confagricoltura in occasione dellaGiornata europea del biologico,celebrata pochi giorni fa, “l’Italia sta investendo nel biocon un’incidenza del 19,8%, quindi poco distante dal target del 25% di Sau (Superficie agricola utilizzata, ndr) biologica da raggiungereentro il 2030nell’ambito dellaStrategia Farm to Fork“. Un obiettivo che come detto è a portata di mano, secondo l’associazione datoriale, a patto di mettere in campo alcunemisure per spronare il settore.“È necessario avviareiniziative a sostegno del biologicoe per la suatutela e valorizzazione,a livello nazionale e internazionale, vigilando allo stesso tempo sulla concorrenza commerciale di altri Paesi che non hanno gli stessi standard qualitativi”. Bando allaconcorrenza sleale dall’estero,insomma. Un obiettivo da raggiungere “facendo sistema tra tutti gli operatori, le istituzioni e gliorganismi di controllo“, puntando sullespecificità dell’Italia, “tra i Paesi più virtuosi per sicurezza e qualità, vantastandard di produzioneelevati epratiche agricole all’avanguardia“.