Agricoltura, l’Italia perde meno posti dell’Ue. Più investimenti, poco credito

Agricoltura, l’Italia perde meno posti dell’Ue. Più investimenti, poco credito

Regge l’occupazione, aumentano gliinvestimenti, peggiorano l’accesso al creditoe l’indice diproduttività: è il ritratto dell’agricoltura in Italiache emerge dall’ultimo rapporto Ismea,Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare. Nel 2022 sono stati898 mila gli occupatinel settore agricolo, il 2,8 per cento in meno rispetto al 2012. Pur toccando “il minimo storico” negli ultimi dieci anni, la perdita è “decisamente più contenuta rispetto al meno 17,5 per cento dell’Ue”. Vanno bene gliinvestimenti nel settore agricolo.Il dato è in crescita del 60 per cento rispetto al 2015, segno di una “propensione a investire” che però si scontra con uno “scarso accesso al credito“. Lo stock dei prestiti alle imprese agricole, infatti, si è ridotto dell’8,5 per cento tra il 2012 e il 2022. A farne le spese è laproduttività. L’anno scorso il valore aggiunto per lavoratore è stato di quasi 42 mila euro, contro i 30 mila dell’Unione europea.L’agricoltura italiana “èsopra la media Ue del 40 per cento“, ma èinferiore rispetto ai principali partner, “Francia, Germania, e in misura minore, Spagna”. Leggi anche –Aziende agricole: innovazione frenata da burocrazia e gap digitale Scendendo nel dettaglio dell’occupazione, negli ultimi dieci anni ilavoratori autonomiin agricoltura in Italia sono scesi di 73 mila unità (meno 15 per cento), mentre idipendentisono cresciuti di 47 mila unità (più 11 per cento). Secondo Ismea il calo complessivo è “completamente ascrivibile” agli autonomi, la cui quota è “storicamente più alta in agricoltura rispetto al resto dell’economia”. La perdita del 2,8 per cento è inferiore a quella diSpagna(meno 3,4) eGermania(meno 14,2), mentre fa meglio laFrancia(meno 0,7). Malgrado ciò, la situazione nel complesso è giudicata da Ismea “non soddisfacente”. A preoccupare sono in particolarei dati dell’ultimo anno.“Gli 895 mila occupati agricoli del 2022 sono ilminimo storico dal 2012e rappresentano il 3,5 per cento degli occupati totali (erano il 3,8 per cento nel 2016)”. Secondo i tecnici ciò dipende “da un’annata difficile,sia a causa dell’instabilità dei mercatiinternazionali dellematerie primee deiprodotti energetici,sia per lasiccitàche ha influito su molte colture”. Leggi anche –Commercio, perse 3.500 imprese nel 2022. Male anche agricoltura e pesca Notizie positive arrivano dal settore degliinvestimenti. Nell’ultimo decennio, scrive Ismea, “hanno avuto unadinamica positivaper tutti i settori (più 24,6 per cento) e più ancora per l’agricoltura (più 32,6 per cento)”. La situazione in Italia è migliorata a partire dal 2015, “con l’uscita dalla crisi finanziariae il miglioramento del quadro macroeconomico con la partenza dei Fondi strutturali europei dellaprogrammazione 2014-2020“. In questo periodo, infatti, “gli investimenti del totale delle attività economiche sono aumentati del 33,9 per cento e quelli del settore agricoloquasi del doppio(più 60,2 per cento)”. Particolarmente rilevanti i dati del 2022. Il valore degli investimenti ha sfiorato i 13 miliardi di euro, il tre per cento dei finanziamenti all’intera economia nazionale. I soldi non sono piovuti dal cielo, osservano i tecnici, ma derivano da diversipiani europei.Tra gli altri, il Pnrr e il Piano strategico nazionale dellaPac 2023-27,che prevede “una spesa di oltre quattro miliardi per il sostegno allosviluppo rurale“. Leggi anche –Agricoltura, dal ministero la “Carta risparmio spesa” per Dop e Igp di Sicilia In chiaroscuro i dati sullaproduttivitàin Italia dell’agricoltura. Ilvalore aggiunto per lavoratoreè cresciuto da 37 mila euro del 2019 a quasi 42 mila euro nel 2021. La cifra è superiore rispetto a quella dell’Unione europea(30 mila euro), ma l’Italia resta indietro rispetto ai principali partner,Spagna(44 mila euro),Germania(68 mila euro) eFrancia(75 mila euro). Secondo Ismea, il differenziale dipende da diversi fattori, “la prevalenza di produzioni adalta intensità di lavoro; unaframmentazione strutturaleche non consente la piena realizzazione delle potenzialità produttive; la difficoltà da parte delle aziende agricole – specie in alcuni settori e in alcune aree del Paese (Mezzogiorno) – di accrescere il proprio valore aggiunto cogliendo leopportunità di mercato“. Il settore agricolo, fanno notare i tecnici dell’Istituto,soffre più di altri.Lo dimostra il fatto che “il divario con Francia e Germania è ben più marcato rispetto al resto dell’economia. Segno che i fattori appena elencati sono presentisoprattutto in agricoltura“. Leggi anche –Il mercato ortofrutticolo di Vittoria escluso dai finanziamenti del Pnrr Fortemente negativa, infine, lasituazione del credito.I prestiti sono in calo per il totale delleattività economiche(meno 24,7 per cento su base decennale e meno 2,5 per cento nell’ultimo anno) e anche per l’agricoltura(meno 8,5 per cento nell’ultimo decennio e meno 0,7 per cento su base annua). Gli istituti sono più propensi a dare credito alle aziendeagricole di grandi dimensioni. “Ad andare in banca è stato il 39 per cento delle imprese con una superfice superiore a 50 ettari, contro il 20 per cento di quelle più piccole”. Le proporzioni non variano di molto se si guarda alladimensione economica. “Ha fatto richiesta di finanziamento il 43 per cento delle imprese con fatturato superiore a 500 mila euro, il 29 per cento di quelle con un fatturato tra 50 mila euro e 500 mila euro e soltanto il 14 per cento di quelle con fatturato inferiore ai 50 mila euro”. Quanto alle imprese guidate dapersone giovani, chiedono più prestiti rispetto a quelle “anziane“. “Ad aver chiesto un finanziamento è stato il 28 per cento dei primi, contro il 24 per cento dei secondi”.