A leggere le venti pagine con le quali la Corte dei Conti giudica il Rendiconto generale della Sicilia, non sembra neanche si tratti di un documento che riguarda una Regione. Sono talmente nette e individuano errori così marchiani che sembrano quasi quelle di un professore alle prese con uno studente. Distratto, nel migliore dei casi. Il punto non è la legittimità delle scelte. La questione è contabile: la Regione non è stata in grado di fare i calcoli giusti o di seguire le procedure dovute.
Patrimonio: “Irregolarità gravi e palesi”
Per avere un bilancio, qualsiasi ente o azienda deve tenere uno stato patrimoniale e un conto economico. Il primo è l’insieme dei beni e dei capitali che si hanno a disposizione. Ecco, nella sua compilazione – scrive la Corte – ci sono state “palesi, gravi irregolarità, che finiscono per inficiare l’attendibilità complessiva dello stato patrimoniale”. In pratica, i numeri ci sono ma non sono attendibili. E giù a elencare le magagne: “Non è stata completata la ricognizione straordinaria del patrimoni e non c’è stato un inventario unico dei beni; non è stato utilizzato un metodo di registrazione contabile concomitante in partita doppia; non è stato completato l’inventario dei beni dell’ex Azienda foreste demaniali”. E poi non è chiaro a quanto ammontino alcune “immobilizzazioni finanziarie”, cioè – in questo caso – è “imprecisa” la rendicontazione delle quote che la Regione ha nelle società partecipate.
Conto economico “non attendibile”
Passando al conto economico, le cose non vanno meglio. Il documento serve a capire le entrate e le uscite in un esercizio. In questo caso “sussistono errate rilevazioni contabili che incidono sull’effettiva consistenza del risultato di esercizio”. Errori quindi di calcolo e di classificazione di incassi e spese. E non stiamo parlando di decimali, ma di svarioni tali da “interferire in modo negativo sulla corretta rappresentazione dei fatti economici”. Tradotto: se non si fanno bene i conti, si rischia di non capire come sono messe le proprie casse. Anche in questo caso, l’elenco degli errori è lungo. Il principale riguarda “ricavi e costi imputati alla gestione ordinaria invece che a quella straordinaria”. C’è poi una “totale mancanza di contabilità analitica”, che non consente di “ottenere elementi utili per verificare l’attendibilità del conto economico e del risultato di esercizio”. Per sintetizzare all’osso: la Regione non sa esattamente quanto incassa e come spende.
l’Amministrazione regionale “ha UTILIZZATO la media delle percentuali medie di riscossione” scrivono i giudici
Fondo crediti di dubbia esigibilità: un pastrocchio
Ci sono errori contabili persino sorprendenti. Quasi da far sorridere, se non fosse che di mezzo ci sono milioni (miliardi) pubblici. La Corte dei Conti si sofferma sul Fondo crediti di dubbia esigibilità. È un fondo che quantifica i crediti che spettano alla Regione ma che potrebbe essere complicato recuperare. È una garanzia, perché “stacca” risorse dal resto del bilancio, impedendo di spenderle (visto che potrebbero non arrivare mai). Visto che non sono incassi sicuri, l’ente deve in parte svalutarli, secondo una percentuale da individuare. Come? Facendo la media tra quello che si è incassato e quello che si è perso nell’ultimo quinquennio. Cosa ha fatto invece la Regione? Dove erano presenti i dati degli ultimi cinque anni, ha calcolato la media. Negli altri casi, l’amministrazione ha utilizzato “la media delle percentuali medie di riscossione e, quindi, di svalutazione”. Ora, non serve una laurea in economia per capire che la media semplice non è uguale alla media delle percentuali medie. La Regione lo ha fatto perché alcuni “capitoli” sono spuntati negli ultimi esercizi e non erano quindi disponibili per un intero lustro. La Corte, però, oltre a biasimare la proliferazione di capitoli troppo generici (e quindi incapaci di dare una rappresentanza chiara di cosa contengano), ha definito il metodo adottato dall’amministrazione “discrezionale”. Con il risultato di “sottrarre alla corretta svalutazione gli importi recati nei detti capitoli di nuova istituzione”. Ne è venuto fuori un Fondo crediti di dubbia esigibilità da 122 milioni. Una cifra “non congrua”, perché, secondo la Corte, sarebbe dovuto essere di 147 milioni. Ancora una volta: calcoli sbagliati, che in questo caso rappresentano minori garanzie a bilancio. La Regione ha provato a convincere la Corte che gli eventuali errori sarebbero stati causati, a monte, dalla mancanza di dati. I giudici hanno risposto sottolineando che “le esigenze gestionali dell’amministrazione non devono alterare in alcun modo la media delle riscossioni dei crediti”. Il criterio adottato dalla Sicilia, invece, “determina un’elusione dei principi contabili”. Cioè: al netto delle difficoltà, non puoi fare come ti pare.
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Spese e incassi: impossibile vederci chiaro
La Corte ha provato anche a fare chiarezza sulla “parte vincolata del risultato di amministrazione”. Cioè su quell’insieme di entrate e uscite che sono, in qualche modo, “vincolati” per legge, dai trasferimenti ai mutui. I giudici si sono ritrovati in mano 22 mila documenti, correzioni e rettifiche. Una matassa inestricabile. La Corte non è stata capace di arrivare a una somma precisa, ma ha affermato che “l’importo da vincoli di trasferimento” individuato dalla Regione (pari a 3,6 miliardi) “non è in linea con il principio generale della veridicità, attendibilità, correttezza e comprensibilità”. In pratica, nel migliore dei casi non si capisce nulla. Nel peggiore è sbagliato.
Solo colpa dei governi precedenti?
Tutto questo in quadro con un disavanzo di oltre 6 miliardi. È vero, come ha spiegato il presidente della Regione Nello Musumeci, che è anche un portato dei governi precedenti. Ma la Corte dice che “il risultato della gestione dell’esercizio finanziario 2018 evidenzia un ulteriore deterioramento del disavanzo complessivo” rispetto ai 5,6 miliardi già individuati un anno fa. Numeri che per i giudici “palesano l’insostenibilità finanziaria della contrazione della nuova spesa avvenuta sostanzialmente in deficit”. Per dirla ancora più bruscamente: “Gli impegni di spesa imputati all’esercizio 2018” non hanno “la dovuta copertura finanziaria”.
Mi si è ristretto il Parco Scientifico
Sembra che la Regione si sia persa per strada un pezzo di partecipate. La Corte dei Conti esprime “perplessità” sul “Fondo perdite società partecipate”. Il suo ammontare (4,8 milioni) è definito “insufficiente”. È stato infatti calcolato solo tenendo presente i bilanci 2018 di Ast, Maas, Sicilia Digitale e Parco Scientifico e Tecnologico. Ma, scrivono i giudici, “la Regione non ha calcolato l’ulteriore peso derivante dall’obbligo di accantonamento di risorse connesso alle perdite di esercizio registrate dalla società Parco Scientifico e Tecnologico negli anni dal 2015-2017” e scegliendo di mettere da parte solo quello relativo al 2014.