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Beni confiscati: su 7.700 immobili, 64 progetti finanziati dal Pnrr

Solo una piccolissima parte dei beni confiscati, sia in Sicilia che nel resto d'Italia, beneficerà dei fondi del Pnrr. I principali dati messi in evidenza da Libera, nel suo report "Raccontiamo il bene"

I fondi del Pnrr arrivano anche in aiuto dei beni confiscati in Sicilia, ma non si tratterà certo di una pioggia di finanziamenti. Forse sarebbe meglio dire una goccia nel mare: su quasi 7.700 beni immobili confiscati e destinati nell’Isola, solamente 57 sono stati finanziati con oltre 59 milioni di euro dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, mentre altri sette hanno ricevuto quasi 24 milioni di euro con procedura negoziale sempre nell’ambito del Pnrr. La proporzione non incoraggia sul piano nazionale: su quasi 19.800 immobili, ci sono solo 254 progetti ammessi (su 528 pervenuti) e 166 enti che hanno ricevuto finanziamenti con fondi Pnrr. Sono tutti collocati in Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia. Mancano all’appello la Sardegna e il Molise, che non sono risultati tra i territori assegnatari di fondi. Questi i principali dati messi in evidenza da Libera, nel suo report “Raccontiamo il bene”, nel quale viene anche rielaborata la graduatoria dei soggetti assegnatari dei finanziamenti previsti dal Pnrr per la rifunzionalizzazione dei beni confiscati nelle regioni meridionali. Un piano di investimento complessivo di 300 milioni di euro, suddiviso su due linee: la prima, con una dotazione finanziaria di 250 milioni e regolata da un Avviso pubblico; la seconda, con una dotazione di 50 milioni, che si basa su una procedura concertativo-negoziale.

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Alcuni dei progetti finanziati in Sicilia

Tra i primi progetti ad aver ottenuto punteggi più alti nella graduatoria del Pnrr così come decretata dall’Agenzia per la coesione territoriale, quello del Comune di Campobello di Mazara (Trapani) per la rifunzionalizzazione di un bene da destinare a Centro antiviolenza per le donne con un investimento di 949 mila euro e un altro del Comune di Piedimonte Etneo (Catania) per la realizzazione di una struttura di accoglienza per donne e bambini ad alto rischio di vulnerabilità e violenza: si chiamerà “Una casa per ricominciare” e l’intervento costerà 1,7 milioni di euro. Tra i progetti siciliani dal più alto valore, quello del Comune di Pozzallo per un Villaggio della Solidarietà (2,4 milioni di euro) e il “Vesta” del Comune di Palermo, da quasi 2,5 milioni di euro, per realizzare uffici e sportelli polifunzionali di ascolto della cittadinanza con uno sportello per la casa dedicato in particolare alle donne e uno sportello per le emergenze ed esigenze abitative. Un altro centro antiviolenza sarà realizzato ad Augusta, sempre attraverso il riutilizzo di un bene confiscato alla mafia in località Baia di Arcile, di proprietà del Comune da diversi anni: con 2,5 milioni di euro sarà ricostruito il fabbricato e verranno sistemate le aree esterne, per ricavarne anche una casa rifugio e un micro-nido.

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Terzo settore: 267 gestori impegnati in Sicilia

Il report “Raccontiamo il bene” di Libera individua inoltre in tutta Italia 991 soggetti sociali impegnati nella gestione di beni confiscati alle mafie, “luoghi quotidianamente trasformati da beni esclusivi e simbolo del potere criminale sul territorio a beni di comunità”, sottolinea l’associazione. Di questa rete di esperienze in grado di fornire servizi e generare welfare, sono 267 i gestori che operano in Sicilia, mappati da Libera attraverso un questionario. Sin dal 2013 Libera si è assunta la responsabilità di costruire una mappatura di queste pratiche di riutilizzo gestite dal Terzo settore e il censimento viene aggiornato ogni anno in occasione proprio del compleanno della Legge 109/96 sui beni confiscati. L’ultima campagna, avviata da un mese, ha permesso di approfondire l’attività dei primi 95 gestori in ambito nazionale che hanno risposto per primi al questionario proposto. I soggetti sociali gestiscono oltre 160 unità immobiliari complesse (e diverse centinaia di particelle catastali) confiscate, ubicati in 15 regioni diverse e in oltre 50 comuni.

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Elenchi da pubblicare: molti enti inadempienti

Nel suo report, inoltre, l’associazione ha evidenziato “la grande fatica che i Comuni fanno a garantire la trasparenza delle informazioni e la loro piena fruibilità”, perché in oltre il 63 per cento dei casi “non pubblicano l’elenco”, sui propri siti internet istituzionali, dei beni confiscati trasferiti al loro patrimonio indisponibile, un obbligo previsto dall’articolo 48 comma 3 lettera c del Codice Antimafia (D.Lgs. 159/2011), o lo fanno “in maniera parziale e non pienamente rispondente alle indicazioni normative”. Sempre facendo riferimento all’intero ambito nazionale e alle regioni destinatarie di beni confiscati, va ancora peggio per gli enti sovracomunali: su dieci province e città metropolitane, il 50 per cento non pubblica gli elenchi. Delle sei regioni, solo due adempiono all’obbligo di pubblicazione (il 33,3 per cento). Dal canto suo il presidente della Regione Renato Schifani promette massimo impegno. “Sottrarre i beni illeciti alla criminalità e restituirli alla collettività per fini sociali rappresenta un esempio di civiltà e di giustizia sociale”, ha detto in occasione dell’incontro con il prefetto Bruno Corda, direttore dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata. “Il governatore – fanno sapere da Palermo – ha illustrato le attività della Regione in questo senso, attraverso investimenti economici anche a valere sui fondi del Pnrr e collaborazioni istituzionali tra soggetti pubblici e privati, confermando l’impegno a una stretta e fattiva collaborazione con l’Agenzia”.

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Agostino Laudani
Agostino Laudani
Giornalista professionista, nato a Milano ma siciliano da sempre, ho una laurea in Scienze della comunicazione e sono specializzato in infografica. Sono stato redattore in un quotidiano economico regionale e ho curato la comunicazione di aziende, enti pubblici e gruppi parlamentari. Scegliere con accuratezza, prima di scrivere, dovrebbe essere la sfida di ogni buon giornalista.

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