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Birrificio Messina, una storia di successo per 15 ex operai

Nata nel 2013 dopo la chiusura dello stabilimento della Birra Messina, la cooperativa ha ripreso a produrla in città. Con un accordo proprio con gli ex proprietari, la multinazionale Heineken

In questi ultimi mesi chiedere la birra prodotta a Messina in un locale è diventato facilissimo. L’etichetta bianca è visibile negli scaffali, alla tv, sui giornali, negli eventi e nei locali. Da fine marzo, il Birrificio Messina, cooperativa composta da 15 siciliani che hanno fondato una cooperativa quando la Birra Messina ha chiuso la produzione in città, sono ritornati a lavorare con Heineken. La multinazionale ha deciso di investire proprio nel progetto dei suoi ex lavoratori, riportando lo storico marchio in Sicilia, con una ricetta speciale: quella della nuova Birra Messina Cristalli di Sale. Inoltre, proprio grazie a questa preziosa partnership, il team messinese è riuscito a far conoscere le propria Birra dello Stretto in tutta Italia.

Cosa fa la Cooperativa Birrificio Messina

La Cooperativa Birrificio Messina nasce nel 2013, due anni dopo che proprio Heineken aveva “portato via” il marchio storico Birra Messina dalla città. Gli ex operai, dopo aver superato un lungo e spinoso iter burocratico, alla ricerca di stabilimenti e capannoni (i vecchi spazi sono rimasti alla famiglia Faranda, storica proprietaria del marchio Birra Messina fondanto nel 1923), il gruppo dei quindici ottiene in concessione dalla regione Sicilia due spazi nella zona industriale di Messina. Poi è venuta la parte più difficile: trovare i soldi per costruire i capannoni. “Abbiamo riscattato il nostro Tfr e la mobilità per un valore complessivo di 750 mila euro, ma il piano finanziario ci diceva che avevamo bisogno di 5 milioni”. A sbloccare la partita ci ha pensato la Fondazione Comunità di Messina, che si è posta a garanzia della Cooperativa nei confronti delle banche. Gli ultimi 250 mila euro li ha forniti il cavalier Salvatore Ruggeri, imprenditore messinese che da molti anni vive a Milano. “Ha accettato di finanziarci e di farsi restituire i soldi entro il 2022 senza interessi”. Ottenuti i soldi, mettendo a garanzia anche le proprie case, iniziano a costruire i capannoni che saranno riscattati per intero nel 2021. “Erano peggio delle stalle, c’era l’amianto – ricorda Sorrenti –. Noi li abbiamo bonificati, ci abbiamo fatto costruire la fogna e la rete elettrica”. La burocrazia ritarda l’inizio della produzione fino al 2016: nell’ottobre di quell’anno la Birra dello Stretto vede finalmente la luce.

Domenico Sorrenti, presidente della cooperativa

La storia del marchio, e del birrificio

La storia di Birra Messina inizia nel 1923 con la famiglia Faranda. All’epoca si chiamava Birra Trinacria, in onore del celebre simbolo siciliano. Nel 1988 il birrificio viene rilevato da Heineken Italia ma presto lo stabilimento messinese si rivela inadeguato per collocazione logistica e dimensioni. Heineken cerca di ottenere le concessioni su siti alternativi e nel 1995, non avendo ricevuto risposte positive dalle autorità locali, abbandona l’idea di una nuova sede produttiva. Investe 2,5 milioni di euro nello stabilimento pre-esistente di Messina. Con l’evoluzione del mercato birrario, dal 1999 la produzione viene trasferita a Massafra, in provincia di Taranto, lasciando a Messina il centro di imbottigliamento. Ma gli impianti sono obsoleti e l’ubicazione logisticamente inadeguata. Nel 2007 l’impianto torna quindi ai Faranda, con la garanzia di proseguimento dell’attività e il mantenimento della forza lavoro per i 5 anni successivi. Heineken mantiene il marchio Birra Messina. Ma l’operazione non ottiene i risultati sperati e nel 2011 lo stabilimento messinese chiude. In quell’anno quarantuno ex dipendenti decidono di rimanere fuori dai cancelli. Credono fermamente nel futuro dell’azienda sul territorio e non vogliono che le macchine rimaste tra le mura vengano rubate o peggio danneggiate. Domenico Sorrenti era il terzo della sua famiglia a lavorare tra quelle mura. Lui nella birra fatta a Messina ci credeva. E lo ha dimostrato. “Dopo un anno e mezzo trascorso davanti ai cancelli, abbiamo fatto una riunione: da quarantuno, siamo rimasti in quindici. Insieme abbiamo creato la Cooperativa Birrificio Messina”, racconta Sorrenti, che oggi ne è il presidente.

La produzione della Cooperativa Birrificio Messina

Ad oggi la Cooperativa Birrificio Messina produce quattro tipi di birre: la Birra dello Stretto, Birra dello Stretto premium, la Doc 15 (birra dedicata ai 15 fondatori), di cui è stata prodotta anche la versione Cruda. “Ci siamo dedicati un’etichetta perché, dopo 37 anni nel campo, ci sentiamo un po’ Mastri Birrai'”, spiega Sorrenti. Dopo la risposta entusiastica della città, nel 2017 arriva la stabilizzazione. La Cooperativa si avvia a chiudere il 2019 con una produzione di circa 27 mila ettolitri di birra, il doppio rispetto al 2018. In quell’anno il fatturato si era fermato a 2 milioni di euro. Negli ultimi tre anni sono state prodotte oltre 10 milioni di bottiglie. La ricaduta sul territorio siciliano c’è ed è importante. “Già fare uno stabilimento a Messina è una gran cosa – specifica il presidente della cooperativa –. In più abbiamo creato un piccolo indotto: diamo lavoro ai trasporti locali, a chi qui fa tappi, cartoni e bottiglie. E questa città soffre di lavoro, non ce n’è”. Una squadra di agenti tutta siciliana lavora per portare la Birra dello Stretto oltre il Mediterraneo, in Australia e in Svizzera. In più oggi, oltre ai quindici soci, in virtù dell’accordo stretto con Heineken, sono stati assunti altri cinque ragazzi. Solo le materie prime non sono siciliane. “Il nostro malto arriva dalla Germania attraverso un commerciante veneziano, lo stesso che forniva il malto alla famiglia Faranda. Abbiamo cercato di usare qualche prodotto italiano, ma dopo un primo invio di un malto buono, la seconda e la terza volta è arrivato un prodotto diverso, più scadente. Forse pensavano non fossimo capaci di distinguere la buona qualità di un malto”.

L’accordo con Heineken

A gennaio 2019 viene annunciata la partnership di 5 anni tra Heineken e i 15 soci, per rilanciare Birra Messina a livello nazionale (e il ritorno in Sicilia) con la produzione di una nuova ricetta speciale: Birra Messina Cristalli di Sale. “L’accordo con Heineken prevede la produzione di parte della Birra Messina Cristalli di Sale, nei quantitativi compatibili con il massimo potenziamento possibile della capacità del birrificio, e l’immissione sul mercato nazionale e internazionale della Birra dello Stretto attraverso i canali commerciali della multinazionale. L’accordo ha una durata di cinque anni, lasso temporaneo a noi utile per essere presenti col nostro prodotto sul mercato. Al momento, tutto sta procedendo come previsto”.

Il futuro? Una sfida anche alle accise

Le accise gravano molto sulla Cooperativa. “Non siamo più un micro-birrificio. Quindi, superando i 10 mila ettolitri di produzione, paghiamo gli stessi importi delle grandi multinazionali – spiega Sorrenti, che dà la sua ricetta per uscire da questa palude che rischia di mangiare molti ricavi – Bisognerebbe aumentare il livello di applicazione delle accise ad aliquota a 50 mila ettolitri, per far respirare le piccole aziende. Ogni mese ci troviamo a versare dai 100 mila ai 150 mila euro, soldi che potremmo investire in comunicazione o sulle persone”. Sorrenti ha esposto la sua teoria in Senato, con coraggio, lo stesso che lo ha tenuto davanti ai cancelli dello stabilimento dei Faranda per un anno e mezzo. Lo stesso coraggio che gli ha permesso oggi di dare ad altre quattordici persone oltre lui, un lavoro, un futuro. “Io ci credo nella nostra città, sono la terza generazione della mia famiglia”.

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Stefania Leo
Stefania Leo
Classe 1982, ho prima imparato a mangiare e poi a scrivere. Le due passioni si sono fuse nel giornalismo. Oggi mi occupo di enogastronomia e tutto ciò che ruota intorno a vino, cibo e territorio.

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