Cibo, vestiti, edicole: in Sicilia 8.500 negozi “uccisi” da ipermercati e online

La bottega dialimentarisotto casa, in buona parte della Sicilia, ormai èsoltanto un ricordo,rimpiazzata dagli ipermercati e dalla grande distribuzione. Lo stesso vale per il piccolo negozio di vestiti e per ilchioschetto dei giornali,che negli ultimi dieci anni hanno visto una vera e propriadesertificazione. A chiudere, tra il 2013 e il primo semestre 2024, sono stati circa 8.500 negozi, mentre il saldo tra le iscrizioni e le cessazioni di imprese nelleCamere di Commerciodell’Isola è negativo per oltre 31 mila unità. Sono i numeri dell’ultimo rapporto sulla consistenza deinegozi di Assoesercenti.Tra i settori più colpiti, scrivono gli esperti, “la vendita di generi alimentari che, con 16.870 cessazioni, rappresenta il 27,37% del totale, seguito dell’abbigliamentocon 13.914 cessazioni, pari al 22,56%. Il settoreedicoleconta ben 1.346 cessazioni, ovvero il 2,18% delleimprese al dettaglio“.Cresce la ristorazione,che vede “un incremento di quasi 6.600 nuove imprese nel periodo tra il 2013 e il 2023”, e segna un ulteriore più 0,5% nel primo semestre 2024. Leggi anche –Piccoli negozi: in Sicilia potrebbero non esistere più. “Grave errore” Lacrescita di un solo settore,da sola, non basta a superare il crollo generale. Le imprese cessate tra il 2013 e il 2024 sono complessivamente oltre 61 mila, oltre 2.300 soltanto nelprimo semestre di quest’anno.Un crollo che secondoAssoesercentiha diverse spiegazioni. A pesare è sicuramente la lunga crisi innescata dallapandemia da Covid-19all’inizio degli anni Duemilaventi, ma pensano anche “l’aumento costante delle vendite online, l’espansione della grande distribuzione e ilcambiamento delle abitudini di consumo,con sempre più persone che preferiscono mangiare fuori casa”. Da una parte ciò ha favorito “la crescita del settore della ristorazione”, ma dall’altra ha contribuito “in modo significativo allacontrazione del settore commerciale“. La situazione è grave soprattutto nei grandi centri. Il rapporto evidenzia come “Palermosia la più colpita dallacrisi del commercio,con una diminuzione delle attività al dettaglio del 13,32% (2.969 imprese in meno)”, ma ancheCatania“si trovatra le ultime nella lista,con un calo del 7,47% (meno 1.337 imprese)”. Leggi anche –Negozi chiusi per sempre in Sicilia: perse 33 mila attività in cinque anni A pesare, come detto, è anche l’abbondanza di realtà dellagrande distribuzione.A fornire i dati – aggiornati al 2022 – è il Rapporto sul sistema distributivo dell’Osservatorio nazionale del Commercio.Guardando agli ipermercati – esercizi di vendita al dettaglio di grande superficie (normalmente superiore a 2.500 mq), articolati inreparti alimentari e non alimentari– la Sicilia ne ospita 23, per un totale di circa 1.400 addetti. A guidare laclassifica nazionaleè laLombardia, con 287 ipermercati e 31 mila addetti, seguita daPiemonte(123, 11 mila addetti) edEmilia-Romagna(89, ottomila addetti). Se il numero degli ipermercati in Sicilia non è tra i più alti, la loro distribuzione territoriale è fortemente sbilanciata. La provincia di Catania, infatti, ne ospita ben 11, quasi il 50% per cento del totale, con oltre settecento persone impiegate. SeguonoPalermo, Siracusa e Ragusa,con tre ipermercati ciascuna,Trapanicon due eMessinacon uno.Enna, Agrigento e Caltanissettainvece non contanonessun ipermercato.Almeno per il momento. Leggi anche –Desertificazione del commercio di prossimità: meno 3.400 negozi in 10 anni Inegozi chiusi,infatti, sono in Sicilia unatendenza ormai radicata.E se la grande distribuzione soffoca il mercato, con la presenza di “grandi strutture di vendita all’esterno deicentri storici delle nostre città“, un peso sempre maggiore hanno anche i negozi digitali, che “rosicchiano” fette sempre maggiori di mercato. “Nell’ultimo decennio le imprese attive di vendita online sonocresciute esponenzialmente.Basti pensare che nel 2023 il fatturato in Sicilia supera 1,5 miliardi di euro”, dice il presidente di Assoesercenti Sicilia Salvatore Politino. Fare impresa nelcommercio di vicinato“diventa sempre più complicato”, anche perché le piattaforme digitali “godono di unregime fiscale particolarmente vantaggioso“. L’inversione di rotta è ancora possibile, sottolinea Politino, ma occorrono azioni immediate. “Occorre sviluppare politiche attive per il settore, a partire dallaformazione imprenditorialee dal tutoraggio delle start-up, ma anche pensando a un regime agevolato per le attività di vicinato per quanto riguarda ilsistema fiscalee il costo del lavoro”.