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Commercialisti in sciopero. “Il governo sottovaluta la crisi”

L'esecutivo ha rifiutato di rinviare il tax day. I sindacati e il Consiglio nazionale hanno annunciato l'astensione dal lavoro il 16 settembre: studi oberati e imprese senza liquidità

Nel giro di pochi giorni sono passati dalla proposta alla protesta. Le nove sigle sindacali dei commercialisti (Adc, Aidc, Anc, Andoc, Fiddoc, Sic, Unagraco, Ungdec, Unico), sostenute dal consiglio nazionale di categoria, hanno annunciato un’astensione dal lavoro il prossimo 16 settembre: non trasmettendo i dati dei contribuenti relativi alle liquidazioni periodiche Iva. La decisione arriva dopo il “no” del governo al rinvio del “tax day” del 20 luglio o alla neutralizzazione delle sanzioni per i ritardatari. I commercialisti avevano chiesto che la giornata nella quale scadono diverse scadenza fiscali fosse spostata al 30 settembre, sia perché gli studi sono “oberati”, sia perché “le imprese sono con l’acqua alla gola per la crisi di liquidità”. Invece nulla.

Studi professionali intasati

Le organizzazioni sindacali sottolineano l’intasamento degli studi professionali, che hanno dovuto far fronte alle norme di distanziamento sociale e, allo stesso tempo, agli adempimenti straordinari legati al coronavirus. In pratica: più lavoro con il personale che non ha potuto operare a pieno regime. Già il 18 luglio, il consiglio nazionale aveva definito “inevitabili” le iniziative di protesta se il governo non avesse concesso il rinvio. La data del 16 settembre, che sarà confermata a meno di un intervento da parte dell’esecutivo, è stata annunciata da Marco Cuchel, presidente dell’Associazione nazionale commercialisti.

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Imprese in crisi: verso un autunno caldo

“È il momento di chiamare a raccolta i 120 mila commercialisti italiani”, afferma il presidente del Consiglio nazionale dei commercialisti, Massimo Miani. “Il no alla nostra richiesta ha dell’incredibile. Di fronte ad un Paese in sofferenza, ad una categoria come la nostra oberata di lavoro, ad imprese con l’acqua alla gola per la crisi di liquidità che si trovano a fronteggiare, alle richieste di rinvio provenienti anche dal mondo imprenditoriale, l’esecutivo ha preferito alzare un muro”. Per Miani è “un’imperdonabile disattenzione”: “Scelte come questa dimostrano una sottovalutazione dello stato reale in cui versano le realtà produttive del Paese”.

I commercialisti si dicono “pienamente consapevoli” delle ragioni che hanno spinto il governo a dire di no: ci sono delle esigenze di cassa stringenti. Ma definiscono “paradossale” l’incapacità di trovare un modo per rinviare le scadenze. Stringere i tempi del prelievo fiscale, scrivono i commercialisti in una nota, è “una scelta dissennata, che rischia di tagliare le gambe a chi sta faticosamente tentando di rimettersi in piedi, rendendo concreto l’allarme per un’emergenza sociale che in autunno potrebbe assumere aspetti preoccupanti”.

Le proposte (inascoltate) dei professionisti

La protesta ha incassato il supporto di Comitato Unitario delle Professioni (Cup) e la Rete delle Professioni Tecniche (Rpt). Le due organizzazioni hanno sottolineato che il rinvio del tax day verno “è solo l’ultima proposta delle professioni italiane non accolte dal governo”. Prima i Consulenti del Lavoro avevano chiesto di semplificare gli ammortizzatori sociali. Poi gli ordini avevano chiesto di non escludere i propri iscritti dai contributi a fondo perduto. Appelli inascoltati. Che adesso potrebbero sfociare nello sciopero di settembre.

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Paolo Fiore
Paolo Fiore
Leverano, 1985. Leccese in trasferta, senza perdere l'accento: Bologna, Roma, New York, Milano. Ho scritto o scrivo di economia e innovazione per Agi, Skytg24.it, l'Espresso, Startupitalia, Affaritaliani e MilanoFinanza. Aspirante cuoco, sommelier, ciclista, lavoratore vista mare. Redattore itinerante per FocuSicilia.

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