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Coronavirus, le prime vittime in Sicilia sono le aziende cinesi

Dal 20 gennaio le oltre 2 mila imprese di cittadini della repubblica popolare nell'isola "hanno perso due terzi del giro d'affari", afferma Shukun Mikele Gao dell’Associazione giovani cinesi in Sicilia

L’allarme Coronavirus continua a diffondersi e di conseguenza cresce la preoccupazione, anche in Sicilia. Nonostante la distanza dall’epicentro dell’epidemia, anche i siciliani disertano le attività gestite da cinesi. Nell’isola i ristoranti cinesi hanno registrato una sensibile flessione sul proprio giro d’affari: solo nella città di Palermo, ad esempio, meno 30 per cento in circa quindici giorni.

Giro d’affari in picchiata: meno due terzi

Per Shukun Mikele Gao, vicepresidente dell’Associazione giovani cinesi in Sicilia, la situazione presenta dei numeri ancora più preoccupanti: “Il calo non si può nascondere, è evidente, e le percentuali sono molto più alte di quelle trapelate negli ultimi giorni”, spiega. Da un confronto con gli anni precedenti, per Gao emerge un vero e proprio tracollo, “sia negli ingrossi che nei negozi al dettaglio, dove è rimasto solo un terzo del giro d’affari, anche di meno”. In prospettiva futura, l’andamento economico sarà strettamente legato alle notizie che arriveranno da Wuhan: “Continuando così molti negozi rischiano la chiusura. Stiamo lavorando a livello comunicativo per convincere le persone che il pericolo qui non esiste e le paure sono immotivate”, ha concluso Gao. Nel capoluogo gli incassi in calo hanno portato a ben 50 licenziamenti nella ristorazione. Un danno non solo per la comunità cinese ma anche per i giovani siciliani assunti dai ristoratori orientali. “In città ci sono trenta ristoranti. Il giro d’affari è di circa cinque milioni di euro l’anno”, ha dichiarato Marco Mortillaro, direttore della Comunità cinese d’oltremare, una delle due più rappresentative a Palermo.

Sicilia seconda regione più cinese del Sud

La Sicilia è la seconda regione del Sud Italia per numero di imprese con titolare cinese, appena dietro la Campania. Secondo i dati di Infocamere, Unioncamere e Movimprese sulle ditte individuali, aggiornati al 31 dicembre 2016, nell’Isola sono presenti duemila e 245 gestite da cittadini della repubblica popolare. Il settore più sviluppato è il commercio, con duemila e 51 imprese, il 91 per cento. A seguire, le attività di ristorazione. E che il momento sia delicato lo testimonia anche una ricerca condotta da TheFork, l’app di TripAdvisor per prenotare ristoranti, che ha registrato a livello nazionale un calo del 43 per cento delle prenotazioni nei ristoranti cinesi. “La discesa – spiega l’azienda – è iniziata a partire dal 20 gennaio, quando anche su Google Trends c’è stato un aumento delle ricerche del termine “coronavirus”, che è ulteriormente cresciuto nella settimana del 27 gennaio”.

Codacons: “La paura è peggio del virus”

“Sono dati che senza dubbio dispiacciono ma purtroppo prevedibili, il contagio della paura è peggio del contagio del virus.” Così si è espresso Antonino Rizzo, responsabile del Dipartimento Sanità Codacons Sicilia. Rizzo parla comunque “di una serie di informazioni incontrollate, ingiustificata stando ai dati scientifici”. Con la sensazione “che possano peggiorare. In questo momento occorre non fare terrorismo sulla comunità cinese”. Il 5 febbraio a Palazzo delle Aquile a Palermo si è svolto un incontro tra il presidente della comunità cinese, Han Guangrong e il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, volto a distendere gli animi e dimostrare la solidarietà e vicinanza dell’amministrazione comunale di Palermo alla comunità cinese. Nel frattempo, alcuni ristoratori sono stati costretti, anche mediante le proprie pagine social, a rassicurare la propria clientela sull’origine degli alimenti utilizzati nei propri ristoranti.

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Marco Carlino
Marco Carlino
29 anni. Laureato in Comunicazione. Scrivo di consumi e innovazione.

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