Ogni anno, in Sicilia, 117 chilometri quadrati di terreno si trasformano in deserto. Una superficie pari a quella di tutte le Isole Eolie messe insieme, che diventa inadatta alla vita con conseguenze gravi per gli agricoltori, costretti a cambiare le colture. “Di questo passo, entro il 2030 tre quarti della nostra regione saranno a rischio desertificazione, compromettendo la qualità del suolo”, spiega a FocuSicilia Vincenzo Piccione, già docente di Discipline ecologiche applicate presso le Università di Catania e Reggio Calabria. Il problema della desertificazione “è di attualità in tutta Europa” e in Italia “riguarda soprattutto il Sud, e anche la nostra Isola”. Le conseguenze del fenomeno non colpiscono soltanto il settore primario. “La desertificazione impatta anche sulla sfera sociale, incidendo negativamente persino sulla stabilità politica”, osserva il professore. Infatti un territorio desertificato “viene ben presto abbandonato”, con un peggioramento generale della qualità della vita “che costringe la popolazione a emigrare”.
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L’impatto sull’agricoltura
Al momento, secondo l’esperto, non esistono stime precise sull’impatto economico del fenomeno nell’Isola. I danni però diventano evidenti tastando il polso delle aziende. “Abbiamo segnali da chi opera sul territorio, e rileva i cambiamenti climatici in corso, soprattutto siccità e aridità, con riscontri sempre più gravi”, dice Piccione. Gli agricoltori in particolare denunciano “la compromissione della qualità del suolo”, e per non perdere i campi “sono costretti a sperimentare nuove coltivazioni”. Da qui la tendenza ad abbandonare “le colture irrigue come gli agrumeti”, mentre svariate centinaia di ettari di territorio “ospitano ormai colture tropicali, e di recente persino piantagioni di caffè”. A fronte di questa situazione, le Istituzioni non sembrano fare abbastanza. “Il governo Musumeci aveva scoperto la parola desertificazione, dando vita a un comitato incardinato sull’Autorità di bacino. Non ho notizie di attività”, denuncia Piccione.
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I territori maggiormente a rischio
Dal punto di vista tecnico, spiega il professore, “la desertificazione è un processo di degradazione del suolo che comporta la perdita di produttività biologica o economica”. Il fenomeno non ha un’origine unica, “ma spesso è il risultato di una concomitanza di più cause scatenanti”. Tra esse c’è sicuramente l’emergenza climatica, “che comporta siccità e aridità”, ma anche la mano dell’uomo che causa “deforestazione, incendi, agricoltura e zootecnia intensivi”. Non tutti i territori sono ugualmente interessati. “I comuni che si affacciano sul canale di Sicilia e la Piana di Catania presentano i livelli più alti di rischio desertificazione, che colpisce soprattutto le aree in un’altitudine compresa tra zero e 200 metri”, spiega Piccione. “Anche la fascia dai 200 ai 700 metri è ad alto rischio, soprattutto al centro della Sicilia, mentre sopra i 700 metri il problema è marginale”.
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Opportunità nelle difficoltà
Una strategia efficace contro il fenomeno, secondo l’esperto, potrebbe venire soltanto da una collaborazione più intensa tra le Istituzioni regionali e nazionali e il mondo della ricerca. Persino la desertificazione, infatti, nasconde delle opportunità. Legate per esempio al settore energetico, di grande interesse considerando la crisi geopolitica in corso. “Con alcuni collaboratori stiamo cercando di individuare territori desertici idonei ad accogliere manufatti per la produzione energetica da fonti rinnovabili”. In particolare il fotovoltaico potrebbe prestarsi a valorizzare le aree degradate, offrendo soluzioni alternative. “Questa tecnologia sembrerebbe promettente, nell’ottica del recupero di siti compromessi ai fini della fertilità. Bisogna avere il coraggio di lavorare in questa direzione, per far sì che la nostra Isola non si trasformi in un grande deserto”, conclude Piccione.