“Gli attuali giovani del Mezzogiorno hanno un percorso più “lungo e complicato” verso l’età adulta. Si dilatano notevolmente i tempi di uscita dalla casa dei genitori, di formazione di una famiglia propria, della prima procreazione”. È scritto nero su bianco: essere giovane in Italia è faticoso ma esserlo al Sud lo è ancora di più, molto di più. A certificarlo è Istat nel suo report dal titolo: “I giovani del Mezzogiorno: l’incerta transizione dell’età adulta”. E la situazione andrà sempre più a peggiorare: ci saranno meno giovani dunque meno ricchezza, meno benessere. Sono pochi quelli nella fascia 18-34 anni in Italia, saranno sempre meno e a rischio non c’è solo il loro futuro ma anche quello dell’intera nazione. E se non si guarda alla divisione territoriale tra Nord e Sud e in particolare, se non si guarda ai giovani del Sud e alle difficoltà, notevoli, che devono affrontare per avere una vita tutta loro, il futuro non sarà positivo per nessuno. Si parla infatti di “questione giovanile”, legata a una “preoccupazione di fondo per una fase della vita sempre più complessa sul piano identitario, delle opportunità e qualità del lavoro, del protagonismo sociale più in generale”.
“De-giovanimento” in corso
Si parte dall’analisi demografica. Non siamo ancora al giro di boa, ma ci stiamo avvicinando, tanto che si parla di “de-giovanimento”. Insomma, stiamo diventando sempre più un popolo di anziani. Secondo i dati Istat, al primo gennaio 2022, in Italia i residenti con età compresa fra 18 e 34 anni sono poco meno di 10,3 milioni, di cui poco più della metà (51,6 per cento) maschi. Si tratta del 17,4 per cento di tutta la popolazione italiana. Un dato di oltre due punti in meno rispetto alla media europea, 19,6 per cento, e in picchiata rispetto agli anni precedenti. L’Italia ha perso il 23,3 per cento dei sui giovani rispetto al 2002. Il giro di boa si avvicina, dicevamo. In effetti ancora oggi, è il Mezzogiorno a contare il maggior numero di residenti tra i 18 e i 34 anni, ma nel tempo è anche la parte di territorio che ne sta perdendo di più e più velocemente (-28 per cento sul 2002). La tendenza è di certo negativa e “si prevede che già nel 2041 in questi territori i 18-34enni scenderanno al di sotto dei tre milioni di unità“, scrivono da Istat.
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Italia fanalino di coda in Europa
La tendenza alla diminuzione è uguale in tutta Europa, ma l’Italia, si legge ancora sul report Istat, ha fatto peggio. “Dal Duemila in poi, dunque, l’Italia ha fatto registrare una performance vistosamente negativa riguardo alla consistenza della popolazione giovanile: si è passati da una collocazione molto prossima alla media Ue – con quote superiori a numerosi altri Paesi (Germania, Svezia, Finlandia, Belgio, Olanda, ecc.) – fino a occupare in solitario la posizione di coda“. Le regioni italiane che hanno perso di più dal 2022 sono Sardegna -39,8, Basilicata -32,2, Calabria -31,4, Molise -30,6 e Puglia -29,6. La Sicilia perde -25,6 per cento. La Campania ha il numero maggiore di 18-34enni (19,9 per cento), e il secondo miglior risultato è del Trentino Alto Adige, in particolare della Provincia Autonoma di Bolzano che registra il 19,2 per cento dei giovani residenti. Unico caso del Nord. Non solo. È il territorio che perde meno nel periodo 2002-2022, “solo” -8,7 per cento.
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Verso l’età adulta, quando si lascia la famiglia
Un altro fattore analizzato nel passaggio verso l’età adulta è il distacco dalla famiglia di origine. Gli italiani sono definiti mammoni per la loro tendenza a non abbandonare il nido familiare. Ebbene, la tendenza non solo è confermata nel tempo, ma si sta anche accentuando. Così se “a livello comunitario, nella fascia d’età di interesse, circa un giovane su due viva ancora con i genitori – si legge ancora sul report Istat – Tale quota in Italia supera i due terzi”. Sono soprattutto maschi. Ne deriva che sono pochi – nel 2021 solo il 12,9 per cento dei casi in questa fascia d’età – i coniugato o coabitanti in un nucleo familiare autonomo. “Tale casistica si riduce in modo importante rispetto alla generazione precedente, poiché nel 2001 vive in una famiglia propria oltre un 18-34enne su quattro (28,3 per cento; 30,2 per cento nel Mezzogiorno). Inoltre, solo il 14,4 per cento ha almeno un figlio, senza apprezzabili differenze territoriali ma in decremento rispetto al 2001, quando tale quota era più alta (21,7 per cento), e – soprattutto – oltre la metà dei 34enni (55,8 per cento) aveva già procreato (40,8 per cento della generazione attuale).
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Giovani esigenti o fannulloni?
È naturale chiedersi il perché di questo stato di cose. Sono i giovani choosy, ovvero esigenti, come stati definiti in passato o non c’è altra scelta? Secondo gli eserti di Istat “La popolazione giovanile tende a ridursi con intensità maggiore dove sono più carenti le opportunità occupazionali specifiche e dove è più bassa la ricchezza prodotta, e viceversa. Le principali regioni meridionali ricadono tutte nel quarto quadrante, caratterizzato da un assetto socio-economico debole e da una riduzione accentuata dei giovani“. Non solo. “La permanenza protratta e tendenzialmente di massa nella famiglia d’origine può essere un sintomo delle difficoltà connesse alla transizione verso l’età adulta derivanti da vincoli di contesto più che da scelte personali”. Non a caso “le convivenze protratte tendono a divenire più diffuse dove il tasso di disoccupazione è più elevato e più bassa la ricchezza prodotta, e viceversa”.