Sotto l’Etna le bollicine battono il Covid e registrano uno straordinario successo nel 2020. Malgrado il virus naturalmente si sia fatto sentire tra le cantine del vulcano più grande d’Europa, provocando un calo di circa il cinque per cento dell’imbottigliato totale, le bottiglie di spumante Doc prodotte sono cresciute di oltre il 50 per cento rispetto al 2019. Le quattro categorie di spumante metodo classico ammesse dal disciplinare sono tutte cresciute, passando complessivamente da 121 mila a 187 mila bottiglie.
I numeri dell’exploit
In particolare, l’exploit maggiore è stato registrato dallo spumante rosato brut, cresciuto di oltre il 400 per cento, da un quasi amatoriale dato di 3.500 bottiglie (da 750 ml) del 2019, a oltre 15 mila dell’anno appena chiuso. Anche le altre tipologie consentite hanno compiuto passi avanti notevoli. Del più prodotto e diffuso spumante bianco sono state confezionate oltre 121 mila bottiglie, contro le quasi 83 mila dell’anno precedente. Percentuali di crescita di tutto rispetto anche per lo spumante rosato e per lo spumante bianco brut. Certo si tratta di una nicchia, in quanto gli spumanti rappresentano qualcosa in meno del cinque per cento del totale delle bottiglie Etna Doc (4,1 milioni nel 2020), ma sembra essere il segno di un ulteriore slancio verso la qualità di una delle zone più glamour della enologia internazionale.
Lo spumante dei pionieri
La tendenza a produrre sempre più bollicine vulcaniche va avanti ormai da diversi anni, e alle cantine pioniere a partire dagli anni ’80, come Murgo e Benanti, si sono man mano aggiunti sempre nuovi produttori, fino ad arrivare a quasi venti aziende che nel loro bouquet di etichette hanno inserito lo spumante. Anche se la possibilità di produrre spumante è stata inserita nel disciplinare solo nel 2011, come ricorda il presidente del Consorzio di tutela Etna Doc Antonio Benanti, sull’Etna la tradizione è antica, e risale addirittura alla fine dell’800: “Allora fu il barone Spitaleri a intuire per primo le potenzialità del territorio etneo per la produzione di vini rifermentati in bottiglia. Quei primi esperimenti di oltre un secolo fa naturalmente avevano però come riferimento i prodotti francesi, lo champagne, anche nella scelta dei vitigni da utilizzare”.
Protagonista il Nerello Mascalese
Altra epoca. Oggi lo spumante che vuole fregiarsi del nome Etna deve obbligatoriamente essere prodotto prevalentemente con il vitigno autoctono a bacca rossa più diffuso sul vulcano, il Nerello Mascalese, alla base anche dei vini doc rosso, rosso riserva e rosato, con quantità minime dell’80 per cento. Per quanto riguarda lo spumante, sia rosato che vinificato in bianco, la quantità minima prevista è attualmente del 60 per cento. Una percentuale che potrebbe aumentare: “A breve dovrebbe entrare in vigore anche la modifica che innalza all’80 per cento la quota di Nerello Mascalese negli spumanti – spiega Maurizio Lunetta, direttore del Consorzio Etna Doc – proprio perché i soci hanno ritenuto di valorizzare ancora di più il territorio e un vitigno che è molto vocato anche alla spumantizzazione”. Resta ferma la regola di consentire la produzione di spumanti Etna Doc solo con il metodo classico o Champenoise, cioè con rifermentazione in bottiglia, tipica dello Champagne e dello spagnolo Cava, escludendo la più semplice tecnica Charmat che prevede la fermentazione in autoclave ed è tipica del Prosecco.
Arriva il Carricante
Qualche altra novità però potrebbe presto affacciarsi anche sull’Etna, dove si ipotizza di consentire la produzione di spumante anche con il Carricante, vitigno autoctono a bacca bianca, già sperimentato con successo a partire dagli anni ’90 da Benanti con l’enologo Salvo Foti. Il Carricante è un’altra grande eccellenza dell’Etna: con una percentuale minima del 60 per cento costituisce la base del bianco doc, e con un minimo dell’80 per cento può dare vita al pregiato Etna Bianco Superiore Doc, vino dalle caratteristiche molto particolari per mineralità, longevità, freschezza e acidità. Caratteristiche dovute anche all’area di produzione, limitata al solo territorio del Comune di Milo, sul versante orientale dell’Etna. Qui i vigneti crescono su un suolo vulcanico particolare, antico di oltre nove mila anni, e le terrazze in pietra lavica scalano la montagna in un ambiente molto poco antropizzato e ricco di biodiversità, sempre raggiunte dalla brezza marina, con grande piovosità e ventilazione. Un territorio unico per un vino esclusivo.