Carige chiuderà cinque filiali in Sicilia, Mps otto. E sulla regione – come sul resto del Paese – pendono quei 10 mila esuberi che potrebbero essere inclusi nel piano industriale di Unicredit. Carmelo Raffa, coordinatore di Fabi Sicilia, parla di “desertificazione” bancaria. E promette: “Daremo battaglia. Da qui ad alcuni giorni, massimo i primi novembre – spiega a FocuSicilia – ci faremo sentire. Ho già parlato con altri sindacati: inizieremo con i sit-in, per arrivare allo sciopero dei bancari”.
L’Ars dalla parte dei bancari
Il tema delle banche è arrivato anche all’Assemblea regionale siciliana. Nei giorni scorsi ha approvato all’unanimità due ordini del giorno (uno del Pd e l’altro di Diventerà Bellissima) che impegnano il governo “ad adottare ogni iniziativa idonea allo scopo di scongiurare le scelte di riorganizzazione aziendale poste in essere dai vertici degli istituti di credito”. E “a tutelare i livelli occupazionali”, in modo da “mantenere un personale congruo alle attività che le istituzioni bancarie devono svolgere in Sicilia”. Nei mesi scorsi, l’Anci (l’associazione dei comuni) aveva inquadrato il problema: al 31 dicembre scorso, 89 comuni dell’isola erano senza sportelli. Ma, spiega Raffa, “è emerso un trend in costante aumento che vede le banche che operano nella nostra regione continuare a ridurre il numero delle agenzie e ridimensionare gli organici”.
Cento comuni senza sportelli
I dati inclusi nei due ordini del giorno parlano di cento comuni rimasti senza sportelli. E contengono anche altri numeri. Nel 2018, in Sicilia gli sportelli sono diminuiti del 10 per cento. Oggi sono 1273, un numero definito “insufficiente se si pensa che in altre regioni con la medesima popolazione se ne trovano trovano quasi 5000”. La diminuzione degli sportelli si è tradotta in una “drammatica riduzione degli addetti, pari al 6,38 per cento”. Traducendo percentuali in persone, vuol dire 700 posti di lavoro evaporati nel solo 2018. “Molti Comuni siciliani – si legge ancora nell’ordine del giorno presentato dal Pd Giuseppe Lupo – sono rimasti (bancariamente) isolati a causa della chiusura delle agenzie. In alcuni casi, ove lo sportello rimane aperto, assistiamo all’apertura per tre giorni alla settimana”.
Nuove tecnologie, vecchie abitudini
Accorpare sedi e chiudere sportelli è anche un modo per incoraggiare le operazioni online. Per chi ha dimestichezza con smartphone e pc, il digitale è una comodità. Per le banche è un vantaggio, perché si tagliano i costi, si ampliano i margini e si propongono nuovi servizi (che online non sono una mera digitalizzazione di quelli allo sportello). “Ma – sottolinea il coordinatore di Fabi Sicilia – non tengono conto che ci sono persone anziane, che hanno bisogno della banca per ritirare la pensione e fare operazioni. Se la filiale chiude, devono fare chilometri per raggiungere uno sportello. Senza neanche la certezza di trovare un bancomat per prelevare. I vecchietti pagano in contanti, non usano la carta e non si possono forzare a farlo”. La tecnologia cambia più velocemente delle abitudini (che pure stanno mutando). E la pressione degli azionisti fa il resto.
“Sicilia terra di nessuno”
Raffa parla di una “situazioni insostenibile”, anche perché le chiusure “rischiano di crescere a dismisura”. Secondo il coordinatore regionale Fabi, la Sicilia viene trattata come “terra di nessuno”. Il fenomeno della riduzione degli sportelli non è certo locale, né solo italiano. Secondo una stima di Bloomberg, da inizio anno le grandi banche hanno tagliato quasi 60 mila posti di lavoro in tutto il mondo, il 90 per cento dei quali in Europa. La rete diventa sempre meno fitta e il pubblico digitale cresce. Secondo Raffa, però, questa tendenza, presente ovunque, “in Sicilia è amplificata”. Come altrove ci sono chiusure e pensionamenti, ma “le nuove assunzioni qui sono vicine allo zero”. Quindi meno filiali, poco ricambio e personale sempre più anziano che non verrà rimpiazzato una volta in pensione.
Ampliare i servizi per sopravvivere
Lo scenario internazionale, come dimostrano diversi studi, mostra tendenze chiare: più online e meno filiali. Che però non sono destinate a scomparire quanto a trasformarsi in luoghi sempre più orientati alla consulenza. Durante questo periodo di transizione, non sorprende che si creino frizioni tra gestione industriale, tensioni finanziarie, occupazione e abitudini d’uso (specie tra i clienti meno giovani). Non ci sono segnali che facciano pensare a un’inversione di rotta. Anzi. Allora come se ne esce? “Dobbiamo salvaguardare il personale”, spiega Raffa. “Il nostro segretario generale ha prospettato all’Abi la necessita di ampliare i servizi bancari in modo da assumere anziché licenziare. Serve un nuovo sistema organizzativo per far sì che le banche si adeguino alla clientela nuova e a quella vecchia”. Quanto agli esuberi, afferma il sindacalista, è una questione di gestione: “I piani industriali tendono a privilegiare le zone più ricche del Paese, dove vengono concentrate le nuove attività. Per assumere al Sud e in Sicilia, le banche potrebbero trasferirne qui una parte”. Una direzione contraria rispetto a quella intrapresa dai grandi istituti, che tendono a una forte coagulazione (non solo in alcune città ma in singoli quartieri o edifici) per questioni di efficienza e costi. “Noi però – conclude Raffa – non staremo con le mani in mano”.