Fondi europei: tanti soldi per la Sicilia, ma si fatica a spenderli e bene. Il quadro

Quello deifondi europeiè un campo minato in Sicilia.FocuSiciliaha provato a far chiarezza in questa giungla di cifre messe a disposizione da Bruxelles (a cui si aggiungono le compartecipazioni statali) e che camminano su binari ben precisi sulla base di obiettivi specifici che non sono solo temporali. Quello che ne emerge è un quadro in chiaro scuro, in cui arrivano molti soldi ma non sempre sono spesi e spesi bene. Ad oggi parliamo di6,5 miliardidi spesa rendicontata su una dotazione finanziaria complessiva di14,8 miliardi nel settennio 2014-2020 per fondi Fse, Fesr, Feasr, Fsc e Feampa. La Sicilia in questi anni non ha brillato per capacità di sfruttare appieno il grande serbatoio di opportunità che l’Ue mette a disposizione e spesso le informazioni che riguardano sia le risorse a disposizione che la relativa spesa successivamente rendicontata sono alquanto frammentarie, incomplete, ai limiti dell’incomprensibile. E pure il governo romano non sembra avere brillato, anzi. Secondo i dati di Cgia Mestre, l’Italia è l’unica in Europa che in questo arco temporale ha visto aumentare, seppur di poco, la disparità territoriale con le medie UE. Ma procediamo con ordine. La politica di investimenti dell’Unione europea si muove principalmente sucinque assiche compongono i cosiddetti fondi strutturali europei. Si tratta del Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr), focalizzato su innovazione, sostegno alle piccole e medie imprese ed economia a basse emissioni di carbonio; del Fondo sociale europeo (Fse), concentrato su occupazione, istruzione, formazione, inclusione sociale e capacità istituzionale; del Fondo di Sviluppo e Coesione (Fsc), dedicato a trasporti e tutela dell’ambiente negli Stati membri meno sviluppati; del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (Feasr, per la politica agricola comune). E infine del Fondo europeo per gli affari marittimi, la pesca e l’acquacoltura (Feampa, per la politica comune della pesca). Abbiamo provato, dicevamo, a fare chiarezza raccogliendo gli ultimi aggiornamenti per ciascun asse preso in esame. In merito al Fondo europeo di Sviluppo regionale (Fesr), a dicembre 2023, la Regione siciliana ha rendicontato2,5 su 4,3 miliardi di eurocomplessivi. Per quanto riguarda il Fondo Sociale Europeo (Fse), al 31 dicembre 2023, risultano rendicontati645 su complessivi 820 milioni di euro. Per il Fondo di Sviluppo e Coesione (Fsc), una relazione del Mef ci dice che al 30 giugno 2023 la Regione siciliana ha rendicontato1,9 su 2,9 miliardi di euro. Il Dipartimento dellaPescamediterranea della Regione siciliana, infine, ci ha informato che ad oggi sono stati rendicontati98 milioni su 118, 2 a disposizione. La Regione siciliana ci ha fatto sapere inoltre che quelli forniti non sono dati definitivi perché larendicontazione di altre somme è ancora in corsomentre il ciclo diprogrammazione 2021-2027 è ancora in una fase di impegno di spesa, dunque è ancora prematuro tracciare un bilancio ma le risorse a disposizioni sono ingenti: il Fesr vale 5,8 miliardi di euro, per l’Fsc ci sono 6,8 miliardi, il Fondo sociale europeo (Fse) ha una dotazione di 1,5 miliardi; poi 2,6 miliardi per il Feasr ed infine 116,3 milioni per il Feampa. Per un totale di 16,8 miliardi di euro a disposizione. Un’occasione per rilanciare lo sviluppo della nostra Isola che non può più andare sprecata. A dimostrazione del fatto che quello della scarsa capacità di spesa dei fondi europei non è un problema solo siciliano, arriva l’ennesimo rapporto, questa volta a firma dellaCgia. “Nei tre cicli di programmazione della politica di coesione europea (2000-2006, 2007-2013 e 2014-2020), Bruxelles ha investito complessivamente970 miliardi di euro– recita il documento -. Di questi, l’Italia ne ha ricevuti 125 miliardi”. Risorse che in questi 20 anniavrebbero dovuto ridurre il divario territoriale tra le regioni degli Stati membrima non è andata così. Secondo l’Ufficio Studi della Cgia, “l’Istat ci dice che tra i principali Paesi europei, l’Italia è l’unica che in questo arco temporale ha visto aumentare, seppur di poco, la disparità territoriale con le medie UE. Indice misurato attraverso il coefficiente di variazione del Pil pro capite in parità di potere di acquisto. Per contro, Francia, Germania e Spagna hanno conseguito una leggera riduzione del divario con le regioni più sviluppate d’Europa”. Ed effettivamente,Nord e SudItalia sono accomunati da gravi criticità, rileva la Cgia, che non riusciamo a rimuovere. “Ci riferiamo – si legge nell’indagine – allalentezza burocratica e all’inefficienza cronica, in particolare delle amministrazioni regionali del Mezzogiorno, che, destinatarie di una buona parte di questi fondi di coesione, spesso non hanno lerisorse umane e le competenze necessarieper realizzare i programmi operativi. Ma il vero handicap va ricercato nellabassa qualità dei progettiche presentiamo. Questi ultimi, una volta realizzati, producono un effetto moltiplicatore molto contenuto; insomma, non sono in grado di generare delle ricadute significativamente importanti per l’economia e la qualità della vita dei territori in cui insistono”. Infine, richiamando uno studio dell’Ocse, la Cgia sottolinea come l’inefficienza della nostra Pubblica Amministrazione abbia delle evidenti ricadute negative sul livello diproduttività delle imprese private. “La produttività media del lavoro delle imprese è più elevata nelle zone (Nord Italia) dove l’Amministrazione pubblica è più efficiente (sempre Nord Italia). Diversamente, dove la giustizia funziona peggio, lasanitàè malconcia e leinfrastrutturesono insufficienti (prevalentemente nel Sud Italia), anche le imprese private di quelle regioni perdono competitività”. La riflessione sui fondi europei ci porta, per forza di cose, alPnrr. Un “treno” di crescita e sviluppo che forse non passerà mai più ma su cui ancora insistono sia luci che ombre. Ad oggi l’Italia ha incassato il 54% del finanziamento totale: 102,5 miliardi. Numeri incoraggianti ma una sondaggio condotto daThe European House – Ambrosettirivela che il 77% delle imprese che hanno partecipato ai bandi ha avuto difficoltà. Difficoltà legate alla complessità di interpretazione (28%) e allo scarso dialogo con il soggetto appaltante (23%).