Il lavoro penalizza le donne. E l’Italia non è un Paese per genitori

Donne, figli, lavoro e, inItalia, guai. Essere donna “significa, ancora nel 2024, dover fare i conti col fatto che hai figli, vorresti dei figli o sei anche solo potenzialmente in grado digeneraredei figli. E questo, al mercato dellavoro, ancora non va giù”. Lo sostiene IvanaVeronese, segretaria confederale Uil, che ha presentato il report “Il lavoro delle donne. Gap occupazionale, retributivo e pensionistico” con dati aggiornati dal sindacato pochi giorni fa. Ne esce fuori uno spaccatoinquietante. “Sulle donne continua a gravare la stragrande maggioranza delcaricodilavorodi cura della casa, dei figli, dei genitori anziani o dei familiari non autosufficienti. Questo a causa di una presenza ancora diffusa e radicata deiruolidigenere, da una parte, e di un’assenza, o forte inadeguatezza, dei servizi, dall’altra”, prosegue Veronese. Lo studio mette in luce due fortidisuguaglianzeche caratterizzano l’esperienza lavorativa delle donne in Italia. Il divario occupazionale, che è il più alto di tutta l’Unione Europea, e il divario retributivo, che nelsettoreprivatoarriva a superare il 30% e persino il 33% se si considerano le fasce over 60. Tra i tanti fattori che pesano su questo dato così rilevante, un ruolo di primo piano lo ha sicuramente l’incidenza del part-time: il rapporto tra occupate donne inpart–timee in full-time è 1:1, mentre per gli uomini diminuisce drasticamente a 1:4. Tra gli inattivi, quelli che dichiarano di esserlo per motivifamiliarisono 3 milioni e 478 mila: di questi, il 95,6% sono donne. Il tasso dioccupazionesfiora il 71% per gli uomini, non arriva al 53% per le donne. In Italia continuano infatti ascarseggiaregli asili nido pubblici e il loro costo è spesso molto elevato. Iltempopienonelle scuole in ampie aree del Paese non esiste, come i servizi pubblici durante i periodi divacanzescolastiche. “Tutti elementi che ci fanno dire che l’Italia, nonostante una certanarrazioneche vorrebbe affermare il contrario, non è un Paese per genitori”, osserva la segretaria Uil, che aggiunge: “Siccome lagenitorialitàè, ancora oggi, declinata, culturalmente e di fatto, alfemminile, non è un Paese per mamme.Non lo è nei fatti, nell’esperienza di chi madre lo è, tra mille difficoltà, preoccupazioni e, spesso, pesantissimesolitudini. Con buona pace degli autori e delle autrici dibonuse mancette”.