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Matrimoni in bianco: l’unico “sì” è agli aiuti di Stato

Ai piedi dell'altare c'è una filiera che coinvolge negozi, ristoranti, truccatori e acconciatori, fotografi, atelier. È tutto fermo. E tra distanziamento sociale e crisi, nulla è certo

Una cerimonia con distanziamento fisico, mascherine e ingressi contingentati è la scelta meno adatta al giorno del sì. E a meno di non volersi sposare su Zoom, come già accade nello stato di New York, la maggior parte dei promessi sposi ha deciso di rinviare il proprio matrimonio al 2021. Tra marzo e aprile sono già stati cancellati 17 mila matrimoni e 50 mila ne salteranno fra maggio e giugno, anche se una percentuale ridotta spera ancora di poter andare all’altare entro la seconda metà del 2020.

Una filiera ai piedi dell’altare

Attorno all’industria del wedding si muovono molti settori che ogni anno fatturano in Italia 40 miliardi di euro. Si parla di circa 83 mila aziende con un indotto, da nord a sud, di un milione di lavoratori. Cifre da capogiro che hanno già subito una brusca frenata. “Fra maggio e giugno avevamo 40 matrimoni”, racconta Francesco Finocchio, proprietario del ristorante Villa Imperiale Ricevimenti a Palermo. “Il 70-80 per cento ha già rinviato al 2021, mentre il restante 30 per cento è indeciso sul da farsi”. A pesare non sono solo i divieti ma anche la crisi economica. “Molte coppie – afferma Fabio Privitera, da 14 anni fotografo di cerimonie – hanno perso il lavoro o sono in cassa integrazione. Quindi non saranno in grado di far fronte alle spese preventivate”. Inoltre, in questo periodo gli sposi del 2021 avrebbero già dovuto avviare l’organizzazione per la loro festa di nozze. Il clima d’incertezza si riflette anche sull’attività pregressa: “La consegna degli album fotografici dello scorso anno è saltata e gli accordi presi per le cerimonie di quest’anno sono congelati. Come minimo ci vorranno due anni per tornare a pieno regime”.

Niente lavoro, niente stagionali

Il personale aggiuntivo che solitamente viene chiamato nei mesi di maggior attività, per questo 2020 sarà disoccupato. “Oltre ai sette dipendenti anche quest’anno il nostro atelier di abiti da sposa avrebbe dovuto impiegare un certo un numero di sarte stagionali”, spiega Valentina Lo Piero, che insieme a Pinelia Trovato gestisce i negozi Bridal di Catania e Giarre. Stesso problema per la lookmaker Sonia Sangiorgio, che per i lavori più importanti era solita coinvolgere le sue allieve truccatrici: “È un’opportunità concreta di lavoro” che quest’anno sfumerà. Un matrimonio che salta coinvolge, a cascata, una galassia di attività. “Ho dovuto chiedere un fido in banca per fronteggiare le spese”, spiega Walter Di Pasquale, proprietario del negozio di bomboniere Lady Bijoux. “Il 90 per cento della merce era già stata prenotata nei mesi scorsi e oggi è bloccata nei nostri magazzini”. Le caparre versate dai futuri sposi non sono sufficienti a coprire i costi.

Le speranze d’autunno

“Gli atelier di abiti da sposa sono negozi che di solito si trovano in zone centrali della città e quindi hanno affitti costosi”, spiega Trovato. Inoltre, “le aziende che hanno già prodotto la collezione 2021 ci spingono a comprarla”. Così, per non perdere i rapporti ci s’indebita. Per i matrimoni slittati, gli abiti da sposa resteranno in magazzino e “peseranno sul bilancio, con costi e tasse a carico nostro”. C’è poi chi non ce la fa: “Ho dovuto rateizzare le bollette e a malincuore non riuscirò a pagare i fornitori”, afferma Finocchio. Dal primo maggio al 30 settembre, nel suo ristorante si sarebbero dovuti svolgere “130 eventi fra matrimoni, lauree, cresime, comunioni”. L’annullamento vale quindi “centinaia di migliaia di euro”. Bisognerà stringere i denti fino all’anno prossimo, “quando probabilmente avremo più lavoro, anche se ancora abbiamo davanti 12 mesi d’incertezza”, dice Di Pasquale. La speranza è di poter sfruttare settembre e ottobre: “Se le cerimonie si potranno celebrare i matrimoni, le perdite saranno solo del 40-50 per cento anziché dell’80”.

Matrimoni esteri alla siciliana

La Sicilia, la Pugliae la Toscana sono fra le mete più gettonate dagli sposi stranieri. Un business di quasi 500 milioni di euro l’anno. “Io lavoro molto con le spose estere, che si affidano completamente a me nella scelta del trucco, dell’acconciatura dell’abito e degli accessori”, affer ma Sangiorgio. “Ad aprile ne avrei dovute seguire tre: una giapponese, una russa e una svizzera”. Senza mobilità internazionale, anche questa fetta di mercato ne risentirà terribilmente, col rischio d’ingolfare il prossimo anno. “Alcune hanno trovato la giornata libera e dunque potremo seguirle, ad altre purtroppo abbiamo dovuto dire di no anche perché è impossibile gestire più di due spose, soprattutto se una è a Trapani e l’altra alle Eolie”.

Leggi anche – Quattro mq per cliente e menù: come riapriranno i ristoranti

Le richieste del settore

Ci si sta organizzando per colmare il vuoto delle associazioni di categoria. Alcuni settori, infatti, non hanno avuto propri rappresentanti, di conseguenza, non hanno avuto voce in capitolo. “Proprio in questi giorni – spiega Di Pasquale – è nata l’Airb (Associazione italiana regalo bomboniera wedding e confetti), che oltre ad essere un punto di riferimento per un comparto che ha un fatturato annuo di 800 milioni, si sta muovendo per ottenere aiuti”. Stesso discorso vale per gli atelier di abiti da sposa, che muovono ogni anno 600 milioni di euro. “Troppo a lungo siamo stati assimilati ai negozi d’abbigliamento”, spiega Lo Piero. Proprio dall’esigenza di distinguersi è nata l’associazione “Noi Si”, che comprende anche i negozi di abiti da cerimonia. Le attività chiedono più tutele per i lavoratori, finanziamenti a fondo perduto da usare per le spese extra, il “detassamento e un aiuto per gli affitti, che non si limiti al 60 per cento di credito d’imposta”, come previsto dai decreti del governo. E poi linee guida chiare per la gestione della fase 2.

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Laura Cavallaro
Laura Cavallaro
Giornalista pubblicista e critica teatrale, associata all’Anct (Associazione Nazionale dei Critici di Teatro), si è laureata con lode in Comunicazione all’Università di Catania scrivendo una tesi dal titolo “Mezzo secolo di teatro: l’avventura dello Stabile catanese”. Da oltre dieci anni collabora con diverse testate giornalistiche, cartacee e online, di approfondimento culturale ed economico

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