Riconoscere le “peculiarità” delle Isole, e promuovere le misure necessarie a “rimuovere gli svantaggi” derivanti dalla loro collocazione geografica. È il senso della modifica dell’articolo 119 della Costituzione, che riporta nella carta fondamentale della Repubblica italiana il concetto di “insularità” eliminato nel 2001 dalla riforma del Titolo V. Una condizione non necessariamente negativa, dicono a FocuSicilia gli esperti intervenuti al convegno sul tema ospitato in questi giorni dall’Università di Catania, organizzato dal Centro di documentazione, ricerca e studi sulla cultura dei rischi di Unict insieme a Enti, ordini professionali e associazioni. Secondo le stime della Regione, l’insularità costa alla Sicilia circa sei miliardi di euro l’anno, tra il sette e il 7,5 per cento del Pil. Allo stesso tempo, dicono economisti e giuristi, se ben gestita potrebbe diventare un’opportunità per il futuro. Secondo il calendario parlamentare, la riforma dovrebbe essere approvata entro luglio. A quel punto toccherà al Governo mettere in campo i decreti attuativi per attuare il principio costituzionale, anche sul piano economico.
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L’evoluzione della riforma
Nel dettaglio, la riforma prevede un’aggiunta al quinto comma dell’articolo 119, dedicato alla gestione finanziaria di Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni. Il testo finale è diverso dalla proposta di legge inizialmente presentata. La prima versione, infatti, faceva riferimento al “grave e permanente svantaggio naturale derivante dall’insularità”, chiedendo allo Stato centrale di “garantire un’effettiva parità e un reale godimento dei diritti individuali e inalienabili”. Il testo è stato modificato al Senato, “per evitare che il termine insularità sia considerato esclusivamente come fonte di svantaggio e di conseguenti ristori di tipo economico e finanziario”. Alla legislazione italiana si affianca quella europea. Ai primi di giugno il Parlamento Ue ha approvato una risoluzione per chiedere alla Commissione di ridurre il divario socio-economico tra aree continentali e isole. A proporla il presidente della Commissione per lo sviluppo regionale Younous Omarjee, sostenuto con forza dal vicepresidente della Regione siciliana Gaetano Armao.
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I costi (stimati) dell’insularità
L’insularità è al centro del dibattito, insomma. E potrebbe diventare l’occasione per rilanciare la questione meridionale, dice Maurizio Caserta, ordinario di Economia politica presso Unict. “Non è vero, come sostengono alcuni economisti, che basti avere stesse regole e stesse Istituzioni per garantire uguali processi di sviluppo in territori diversi. Nella realtà, la geografia conta”. L’insularità spiega solo in parte il deficit di sviluppo di Sicilia e Sardegna, precisa Caserta, “ma ha certamente dei costi elevati”. L’economista ha partecipato ai lavori della Commissione paritetica che ha stimato in sei miliardi annui tali costi. Finora la Sicilia ha ricevuto soltanto alcuni anticipi. “Non sappiamo se tale cifra sarà recepita, ma speriamo che le risorse che arriveranno siano ben gestite, a differenza di quanto avvenuto in passato con i fondi europei”. Caserta accosta i risarcimenti al Reddito di cittadinanza. “Bisogna valutare bene quando rimuovere queste forme di welfare. Né troppo presto, per non lasciare scoperta una fragilità, né troppo tardi, per non impedire l’iniziativa”.
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Se la Sicilia non fosse più isola
A porre l’accento sull’applicazione della riforma è Aldo Berlinguer, ordinario di Diritto comparato presso l’Università di Cagliari. “Nella riforma si parla di ‘peculiarità’, ma occorre capire quali siano. Lo stesso concetto di ‘isola’ è tutto da stabilire”. Le isole italiane sono circa 800, ricorda il docente, “ma spesso si tratta di territori piccolissimi, che non hanno le stesse necessità di Sicilia e Sardegna”. La stessa Trinacria, aggiunge il docente, secondo alcune scuole di pensiero “cesserebbe di essere un’Isola se un domani venisse realizzato il ponte sullo Stretto”. Questioni rimandate ai decreti attuativi del Governo, insieme ai risarcimenti. Sull’insularità, spiega Berlinguer, si sono accumulati ritardi di anni. “Nel 2001 il Legislatore ha deciso di cancellare la questione meridionale con un tratto di penna. Si è scelto di seguire il miraggio di un regionalismo competitivo, che però per funzionare ha bisogno di uguali condizioni di partenza”. Anche sulla stima del deficit si è perso tempo. “La legge 42/2009, che ha istituito il Fondo perequativo, aveva avviato una mappatura dei deficit regionali, che però non è mai stata completata”.
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Una bussola per i futuri governi
A concentrarsi sugli aspetti giuridici Felice Giuffrè, ordinario di Istituzioni di diritto pubblico presso Unict. La riforma costituzionale, spiega il dicente, “punta a conciliare l’eguaglianza formale e quella sostanziale dei cittadini nei diversi territori”. La modifica dell’articolo 119 rappresenta un passo avanti anche dal punto di vista politico. Norme, regole e istituzioni, spiega Giuffrè, funzionano se hanno alla base un principio forte. “D’ora in poi, le diverse maggioranze che si alterneranno alla guida del Paese sapranno che c’è un indirizzo costituzionale preciso sull’insularità, che ogni legislatore è chiamato a rispettare”. Una prescrizione non solo formale, precisa il docente, visto che la norma impone “di tenere conto delle peculiarità e di colmare i deficit che sono la palla al piede delle Isole, anzitutto le infrastrutture”. Anche Giuffré pone l’accento sui ritardi accumulati nei decenni. “L’ultima riorganizzazione dei rapporti finanziari tra Stato ed Enti locali risale al 1964. Nel 1971 c’è stata la riforma tributaria, e da allora le cose non sono state più toccare”, conclude il docente.