La mafia in Sicilia è imprenditrice. Come si muove tra sconto al pizzo e appalti
Lo stereotipo del mafioso concoppola e luparaè superato ormai da tempo, ma negli ultimi anni Cosa nostra ha fatto un ulteriore salto di qualità. Adesso la mafia in Sicilia, e non solo, fa soprattutto l’imprenditrice dedicandosi sì al pizzo ma anche agli appalti e alla droga. È diventata “capace di infiltrarsisempre più nell’economia legale, dal settore energetico ai rifiuti, dal turismo a tutte le attività connesse alla gestione del tempo libero”. È il contenuto della “mappatura” realizzata dallaCommissione regionale antimafia,presieduta da Antonello Cracolici. Nell’Isola sono nate “nuove forme di raccolta del pizzo”, che si possono sintetizzare con la formula“pagare meno ma pagare tutti”. Un sistema con cui la mafia si procura denaro, certo, ma soprattutto il controllo del territorio. Le resistenze, purtroppo, sono deboli. “Alla recrudescenza del fenomeno estorsivo è connessa una minore capacità del sistema imprenditoriale siciliano di reagire”. Spesso, denunciano i commissari, “è l’imprenditore o il commerciante a cercare, di sua sponte, la protezione dei clan”. Leggi anche –Pnrr e beni confiscati, tolti 300 milioni. Fillea: “E i progetti pronti?” Come detto, del resto, la mafia siciliana ha “caratteristiche imprenditoriali sempre più nette”. La strategia è semplice.I clan si infiltrano nell’economa legale “attraverso azioni parassitarie, limitando la concorrenza degli altri imprenditori che non possono competere con ingenti flussi di capitale illecito”. La tendenza si concentra in alcune zone, “soprattutto nei territori con una propensione imprenditoriale più spiccata come ilTrapanese, Catanese, Palermitano, Ragusano e Siracusano“. Quanto agliappalti, per la Commissione antimafia non serve per forza la connivenza di politici e funzionari. “È sufficiente ladisattenzionedi chi dovrebbe vigilare, o una certa confusione normativa, come nel caso dei subappalti, dove sempre più preoccupante appare la caratteristica di servizi affidati a imprese costituite per svolgere singole attività senza che le stesse abbiano una storia imprenditoriale a garanzia della qualità dei lavori”. Leggi anche –Tre progetti della Regione siciliana per valorizzare i beni confiscati Tornando al pizzo, come dettochi lo subisce spesso sceglie di non denunciare. “Il racket si è trasformato nel pagamento generalizzato di piccole somme che, a fronte di minori entrate, hanno garantito una certa acquiescenza da parte degli operatori economici tradottasi in una collaborazione quasi spontanea degli estorti”. La raccolta economica dei clan, inoltre, avviene “anche attraverso le forniture e i servizi, con gli stessi estortori che emettono fattura per le loro attività nei confronti degli estorti”. Al di là del pizzo e degli appalti, certamnete importanti, ilcore business,per la mafia in Sicilia tuttavia, rimane ladroga. “Oggi le varie droghe, a prezzi di accesso sempre più bassi, si stanno diffondendo a macchia d’olio in tutta la regione. Fenomeni sconosciuti fino a qualche anno fa, come ilcrack, per il loro basso costo hanno conquistato nuove fette di mercato, soprattutto tra i giovanissimi”. Tendenza che spesso sfocia in fenomeni di devianza, “come ‘baby gang’ ed episodi di prostituzione anche minorile”. Leggi anche –Beni confiscati, dal Pnrr 250 milioni al Sud. Cgil Sicilia scrive ai prefetti Un capitolo del rapporto è dedicato poi alleconfische. “La Sicilia è la regione con il più alto numero di beni sottratti alle mafie e il tema della gestione in questi anni ha creato delle criticità che hanno costretto molti comuni dell’Isola a fronteggiare diverse emergenze”. La situazione è particolarmente difficile per leaziende confiscate ai clan, che spesso dopo essere state “ripulite” non riescono a camminare con le proprie gambe. La cataneseGeotransin questo contesto rappresenta una delle poche eccezioni. “Le audizioni restituiscono uno spaccato drammatico diestrema difficoltà del sistema a rialzarsi e rientrare nel circuito legale: oltre il 90% delle aziende confiscate viene messo in liquidazione”. Un tema spinoso, su cui la Commissione regionale antimafia chiede un maggiore coinvolgimento dellaRegione siciliana. “Può e deve dare un concreto supporto, garantendo un accesso al credito agevolato attraverso l’Irfis che dia una prospettiva di riscatto sociale ai lavoratori impiegati che credono in un’economia sana”. Leggi anche –Beni confiscati, con revisione Pnrr in Sicilia definanziati bandi per 82 milioni La “mappatura”, spiegano dalla Commissione, è un documento nato “on the road” con audizioni nelle nove province siciliane. Ma anche in alcuni Comuni scelti per un “peculiare tratto criminale”, comeFavara, Acate e Castelvetrano, quest’ultimo “all’indomani della cattura del boss latitante Matteo Messina Denaro”. Un cammino lungo “quasi tremila chilometri”, che ha permesso unconfronto con “302 amministratori locali”, ma soprattutto con “19 procuratori capo, 4 procuratori antimafia, i questori, i comandanti provinciali della Guardia di finanza e dei Carabinieri, nonché i vertici delledirezioni investigative antimafiadelle singole province”. La rete delleassociazioni antimafiaè importante, ma mostra una certa sofferenza. “Sono 30 in tutto, 31 se si considera quella in attesa di iscrizione a Ragusa, dove, nel 2021, ben tre associazioni sono state cancellate per inattività. Nella provincia di Agrigento, invece, non risulta alcuna associazione”.