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Bollicine in risalita: la Sicilia si scopre terra di spumanti

In sei anni, i volumi nella Doc Etna si sono più che decuplicati. Eppure, fino a poco fa, produrre spumanti nell'isola sembrava utopia. Gregorio Calì (Onav): "C'è grande fermento ma tanto da fare"

Diciamolo: se si dice spumante, la Sicilia non è la prima regione che viene in mente. Eppure, soprattutto sulle pendici dell’Etna, la produzione di metodo classico sta crescendo in modo impetuoso: le cantine stanno scoprendo o riscoprendo le bollicine. Anche (ma non solo) da uve a bacca rossa vinificate in bianco, proprio come i grandi Champagne.

Quante cantine producono spumante

La crescita è tutta nei numeri. Nel 2011, erano circa venti le aziende siciliane che producevano spumanti, con una trentina di etichette. Oggi, per raggiungere questi numeri bastano le sole cantine dell’Etna. In tutta la regione, invece, le aziende produttrici sono diventate – secondo l’Istituto Regionale Vino e Olio – sessanta, per novanta etichette: 23 vini sono spumanti rosè e 67 vini sono spumanti bianchi ottenuti o da uve a bacca bianca (Catarratto, Carricante e a volte Chardonnay) o da uve a bacca rossa (Nerello Mascalese e a volte Pinot noir). Quindi un mix di vitigni autoctoni (prevalenti) e internazionali, che sfruttano le zone della Sicilia capaci di offrire quelle caratteristiche che uno spumante richiede: acidità, poca acqua e sole più clemente. Si tratta, inoltre, di numeri prudenti. Sia perché alcune cantine non sono monitorate dall’Istituto, sia perché alcune hanno iniziato a produrre spumante senza però arrivare ancora in commercio.

I numeri delle bollicine

L’aumento delle aziende che puntano sulle bollicine si traduce in un incremento dei volumi. Lo spiegano bene le cifre che arrivano dall’Etna. In una Doc che corre, lo spumante vola. Nel 2012, l’intera denominazione ha prodotto 9487 ettolitri; nel 2018 è arrivata a 29990. Occhio però agli spumanti: tra bianchi e rosati, nel 2012 gli ettolitri erano appena 52. Lo scorso anno sono diventati 710, per il 90 per cento bianchi. Tradotto: all’interno di una Doc più che triplicata in sei anni, gli spumanti dell’Etna sono cresciuti del 1255 per cento. Vero, l’incremento è figlio di un volume di partenza molto contenuto. Ma si parla comunque di una produzione più che decuplicata tra il 2012 e il 2018, in un’area che rappresenterà una nicchia rispetto alle grandi quantità imbottigliate dai leader italiani (per non parlare dei volumi francesi).

Dallo “Champagne Etna” a oggi

“Sono anni che mi batto perché sono convinto che il terroir dell’Etna sia adatto per fare spumante”, spiega Gregorio Calì, maestro assaggiatore, docente della scuola enologica Mazzei di Giarre e fondatore della sezione Onav di Catania. I risultati iniziano a vedersi. Eppure Calì, gli altri esperti e i produttori che hanno spinto la spumantizzazione non hanno inventato nulla. Hanno piuttosto reinventato quello che già c’era. “È un fatto storico – racconta Calì – che la spumantistica in Sicilia vanta antiche tradizioni. Alla fine del 1800 proprio sull’Etna il barone Spitaleri, nel territorio di Adrano, ha sperimentato un metodo classico dalle uve di Pinot nero e Nerello Mascalese, intuendo che l’area collinare del vulcano fosse una zona vocata a questo tipo di produzione. Quel vino all’epoca era conosciuto come ‘Champagne Etna’ e conquistò diverse capitali europee”. La rinascita arriva dalla seconda metà degli anni ’90, tra centinaia di convegni, eventi, la collaborazione con scuole e università e, sottolinea Calì, “tanto studio”. “Il merito – continua – va condiviso tra le aziende storiche (Barone di Villagrande, Benanti, Antichi Vinai, Cantine Russo, Tenuta Scilio-Valle Galfina, Patrìa-Torrepalino, Cantine Nicosia, Tenuta Mannino dei Plachi, Gambino, Feudo Cavaliere, Montegorna, Vivera, Destro, Alcantara, Aitala, I Vigneri) e quelle che sull’Etna ci sono arrivate più di recente (Tenuta delle Terre Nere, Franchetti-Passopisciaro, Irene Badalà, Falcone, Graci-Angelo Gaia, Donnafugata, Terrazze dell’Etna, Planeta, Palmento Costanzo, Girolamo Russo)”.

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Perché il vulcano è terra di spumanti

Produrre spumante sull’Etna non è affare per cuori deboli. “È tanto appassionante quanto complicato”, spiega Calì. Sì, perché si fa presto a dire Etna. Attorno al vulcano c’è una sorta di “ferro di cavallo” che distingue le pendici in tre zone, molto diverse tra loro. Su quelle meridionali, le vigne reggono anche fino a 1200 metri. Sul versante nord, dove i venti freddi spirano rimbalzando sulla neve, non vanno oltre i 600 metri. Sulle colline orientali che guardano allo Ionio, invece, si crea il microclima meglio disposto alla produzione di spumanti: “Calando – spiega Calì – il sole si nasconde dietro la montagna, privando le vigne di 2-3 ore di sole”. Un’ombra precoce che consente alle uve di non sovraccaricarsi di antociani (le sostanze coloranti) e di non arrivare a totale maturazione, mantenendo così quell’acidità fondamentale per produrre bollicine. Questo particolare microclima permette quindi di produrre spumanti (in bianco) da uva rossa, “proprio come lo Champagne”. Solo che al posto del Pinot noir, c’è spesso il Nerello Mascalese. Usare bacche rosse non è un vezzo: “Danno più struttura”.

Di padre in figlio

L’Etna, però, è una sfida. “Le condizioni cambiano di anno in anno”, afferma il fondatore di Onav Catania. “L’uva pesca nel terreno lavico, spesso sottile. L’anno dopo può pescare da una colata diversa, con una composizione diversa, dando risultati differenti”. Proprio per questo motivo, racconta Calì, “all’inizio molti agronomi sono stati licenzianti”. Ma già averlo assunto, un agronomo, era un passo avanti: “Per molte aziende, pagarlo era come buttare soldi. Ritenevano più importante avere un enologo di grido, che magari curava tante imprese e dalla cantina passava solo per qualche ora. Ho ‘rubato’ da piemontesi e toscani e mi sono battuto perché ogni azienda avesse un agronomo, un cantiniere e un proprio enologo”. Adesso, dopo aver recuperano terreni abbandonati e investito sugli impianti, sono sempre di più i produttori che hanno compreso come la Sicilia possa essere (anche) terra di spumante. “Hanno ammodernato le imprese per i loro figli”. Anche perché un ettaro vitato sull’Etna, con i valori in crescita, è diventato ormai un tesoro da custodire. E da valorizzare: “Sugli spumanti c’è molto fermento ma tanto ancora da fare”.

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Paolo Fiore
Paolo Fiore
Leverano, 1985. Leccese in trasferta, senza perdere l'accento: Bologna, Roma, New York, Milano. Ho scritto o scrivo di economia e innovazione per Agi, Skytg24.it, l'Espresso, Startupitalia, Affaritaliani e MilanoFinanza. Aspirante cuoco, sommelier, ciclista, lavoratore vista mare. Redattore itinerante per FocuSicilia.

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