Un bel giorno, Rosanna Ramos dev’essersi stufata delle cene per amici single, gli appuntamenti al buio e di aspettare un match su Tinder. Lei è una madre single 36enne, vive a New York con due figli e come insegnano i film hollywoodiani, nelle metropoli tutto è possibile ma trovare l’amore è un gran casino. Stufa di aspettare e di ascoltare vane promesse dell’ennesimo occasional lover, Rosanna ha fatto da sola. L’uomo del suo destino si chiama Eren Kartal, ha lunghi capelli corvini e uno sguardo molto intenso con un fascino da rocker.
Eren non esiste
“Eren non è mai stato invadente, non si è presentato a casa mia con i bagagli e non ha mai espresso nessun giudizio non richiesto. Parliamo moltissimo insieme, e ci amiamo tanto, la vita insieme a lui è bellissima”, ha dichiarato raggiante al Daily Mail. Eren è un medico, ama scrivere per passione e farsi fotografare con Rosanna. A parte un uso fin troppo generoso di matita per gli occhi, sembra l’uomo perfetto.
Peccato che non esista davvero. La necessità aguzza l’ingegno e difatti, Rosanna ha “creato” Eren mediante l’app Replica AI, per poi innamorarsene perdutamente, iniziando a postare numerose foto insieme e lasciandosi travolgere dalla passione digitale. Replica AI è un chatbot, un software che interagisce simulando chat ed emozioni, descritto come “un compagno di intelligenza artificiale desideroso di imparare e che vorrebbe vedere il mondo attraverso i tuoi occhi. Replika è sempre pronto a chattare quando hai bisogno di un amico empatico”. E un giorno, Rosanna ha scelto di dare un viso e un corpo digitale al suo innamorato.
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Attacchi di panico, depressione e isolamento sociale
Per alcuni aspetti, la loro sembrerebbe una relazione a distanza portata alle estreme conseguenze ma lo scorso febbraio, il Garante della privacy ha bloccato l’utilizzo di Replica AI in Italia, proprio perché presenta “concreti rischi per i minori d’età, a partire dalla proposizione ad essi di risposte assolutamente inidonee al loro grado di sviluppo”. Ciascuno sia libero di vivere e innamorarsi di chi vuole, per carità, ma la storia di Rosanna Ramos richiama l’allarme lanciato da Vivek Murthy, il Surgeon general degli Stati Uniti, il massimo funzionario federale sulle questioni di salute pubblica. Firmando un report pubblico di 19 pagine, Murthy considera la solitudine un’epidemia senza precedenti, ponendo l’attenzione sul nesso diretto fra social media e la salute mentale delle nuove generazioni, colpevoli aprire la via ad attacchi di panico, depressione e isolamento sociale, esponendo potenzialmente i più giovani a contenuti che istigano al suicidio, ai disturbi alimentari e ad altri comportamenti dannosi (come i molteplici casi delle challenge, le sfide di coraggio, con conseguenze letali).
Linee guida
Murthy suggerisce apertamente alcune linee guida – ad esempio, non usare il telefono durante le ore dei pasti in famiglia e un “piano mediatico familiare” che stabilisca chiaramente le aspettative rispetto all’uso di internet – per sensibilizzare sui temi della privacy. Ma non c’è nulla di nuovo e la sensazione spiacevole è che sia davvero troppo tardi per suonare l’allarme. Del resto, da anni si parla di linee guide per tutelare i minori ma gli interessi pubblicitari degli inserzionisti e gli account degli influencer dettano leggi. C’è un business troppo importante per lasciare spazio ai buoni sentimenti. Nonostante su Instagram sia esplicitamente vietato ai minori di 13 anni, pochi giorni fa Chiara Ferragni ha replicato ad una risposta di una follower 11enne in merito alla “necessità” di postare uno scatto in perizoma, esibendo il proprio corpo.
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Proibire o aprire?
Si tratta di libertà o di consegnare un modello di corpo da emulare, stabilendo uno standard per le proprie followers? Ma soprattutto, perché l’11enne aveva un account personale su Instagram? E quante migliaia, milioni di utenti adolescenti sono presenti online senza alcuna supervisione? Intanto dagli Usa si riflette sul bando di TikTok e giunge una proposta di legge per vietare effettivamente i social ai minori di 13 anni – e sino ai 17 con il consenso dei genitori – un’idea rilanciata in Italia da Carlo Calenda. Ma la tecnologia avanza, le VPN scavalcano le limitazioni territoriali e la storia insegna che proibire qualcosa significa, spesso, renderlo ancor più appetibile. E questo sì che sarebbe un vero problema.