Lavoratori sempre più poveri: la contrattazione non funziona, dice Inapp
L’Italiaè un Paese la cuieconomia è fondata sul profitto, enon sul reddito da lavoro. E inoltre la “great resignation“, ovvero la grande fuga dal lavoro di cui tanto si è parlato nel post pandemia,non esiste. Esistono invece sempre più lavoratori che cercano di ricollocarsi per averesalarimigliori, chesono bassi in rapporto all’inflazione già nei Contratti collettivi. E lacontrattazione di secondo livello, con premi di produzione e altri benefit, è solo per una ristretta percentuale di lavoratori, soprattutto al Sud. Queste alcune delle principali “conclusioni “evidenze” che l’ente governativo Inapp,Istituto nazionale per l’analisi delle Politiche pubbliche, fa nel suoultimo rapporto 2023 sul mercato del Lavoro in Italia. E le conseguenze problematiche legate allo scarso potere di acquisto dei salari, come spesso accade, sono più severe al Sud e in Sicilia rispetto al Nord del Paese. Loscarso potere di acquisto dei lavoratori è legato ai salari. Questo nonostante le retribuzioni siano cresciute in Italia nel58-60 per cento dei casiincorrispondenza del Pil nominaledel Paese e dell’inflazione, cresciuta a sua volta a ritmi mai visti dal 1997 nel biennio 2022-2023, superando in alcune aree, come la Sicilia, anche il 12 per cento. e questo porta al problema delPil Reale– calcolato da Inapp allo0,4 per cento per il secondo trimestre 2023 su dati Ocse-, ovvero sul potere di acquisto delle famiglie. I salari sono collegati alle retribuzioni stabilite daiContratti Collettivi nazionalie per mitigare gli effetti dell’inflazionesempre più spesso al Nord si ricorre alla contrattazione di secondo livello. La distribuzione territoriale dei lavoratori che hanno fruito del salario accessorio legato alleperformancesegna “forti polarizzazioni a discapito delle regioni del Sud”. Si passa dal13 per cento in Piemonte ed Emilia-Romagnaa unaminima del 4 per cento in Calabria, del 5 per cento in Siciliae Sardegna, del 6 per cento in Campania e Puglia. Del resto le regioni del Sud sono quelle dovesono meno presenti le grandi industrieo multinazionali dei servizi.In concreto: casi come lacontrattazione di secondo livello di STMicroelectronics, che nella sola Catania impiega oltre 5 mila dipendenti, sono in Sicilia pochi e non sono sufficienti ad alzare la media. Leggi anche –Sciopero per un lavoro di qualità. In Sicilia poco formato il 45% dei candidati Inapp fa una valutazione più complessiva del sistema economico italiano, che è passatodagli inizi degli anni 2000daun modello di sviluppo “condotto dai salari”a uno“condotto dai profitti”(wage-led e profit-led growth). Questi ultimi si sono, di conseguenza,assestati attorno al 40 per cento del PIL contro il 60 dei salari.Negli anni del boom economico degli anni ’60 questa proporzione era intorno al 20-80 per cento. Cosa è cambiato? Soprattutto il progresso tecnologico che favorisce il capitale e i lavoratori altamente specializzati, e “anche la maggior apertura al commercio internazionale appare come una delle determinanti di una crescita basata sui profitti”, scrive l’Istituto. “Nel corso della prima parte del 2023 – continua l’analisi – la quota dell’export italiano è peraltro andata incrementandosi fino araggiungere il 33,7 per cento: circaun terzo del PIL del nostro Paese dipende dalle esportazioni. A giugno 2023, inoltre l’export era cresciuto tendenzialmente dell’1 per cento, mentrel’import aveva fatto registrare una forte riduzionetendenziale in valore (meno 16,9 per cento) dovuta alla momentanea fase di ribasso dei prezzi delle materie prime”. Leggi anche –Sicilia e morti sul lavoro: 63 ispettori. Controlli in azienda: ogni vent’anni Se il Paese cresce quindi è soprattutto per merito dell’export e del valore aggiunto portato dai singoli lavoratori alle imprese. Una soluzione sarebbe quindi quella di riportare il “legame tra salari e produttività del lavoroche aveva caratterizzato il nostro sistema economicofino agli anni ’90“. Per farlo, Inapp suggerisce di superare quanto stabilito dalProtocollo del 23 luglio 1993 tra Governo e Parti socialisu “Politica dei redditi e dell’occupazione, assetti contrattuali, politiche del lavoro e sostegno al sistema produttivo”, ovvero quello che, dopo la cosiddettascala mobileche aveva caratterizzato il periodo precedente, prevededue livelli negoziali specializzati e non sovrapposticon istituti diversi e non ripetitivi. Mentre al primo livello, iCCNL, spetta di stabilire i minimi retributivi, nel secondo livello di contrattazione (aziendale o territoriale) viene contrattato ilsalario di risultatolegato a incrementi di produttività, di qualità e di altri elementi di competitività. Un dato per spiegare l’urgenza, secondo Inapp:dal 1991 al 2022 i salari reali sono cresciuti del 1 per cento. Nel resto dei Paesi Ocse la crescita è stata del 32. Leggi anche –Lavoro in Sicilia: si trova subito se sei muratore, cameriere o commesso I tentativi di introdurre la contrattazione di secondo livello e i Premi di Risultato (PdR), come visto, sono però molto complessi nelle aree del Sud Italia caratterizzate da aziende di dimensioni inferiori. Una evidenza di questo è data anche dalla presenzadei PdR nel 74 per cento dei casi per fasce di reddito medio-alte, comprese tra 20 e 50 mila euro, mentre la media delle retribuzioni al Sud è inferiore. Di contro il maggior numero di dimissioni negli anni della cosiddetta “great resignation” è avvenuto per le professioni non o bassamente qualificate, e per redditi fino a 15 mila euro. Vi è quindiper Inapp una correlazione non diretta, ma altamente probabile, del legame tra bassi salari e ricerca di una nuova occupazioneper avere maggior potere d’acquisto (e una vita migliore). Il tutto in un mercato del lavoro che nel post pandemia ha visto un numero di cessazioni enuove attivazioni di contratti più alto che nel passato, e una riduzione degli inattivi. Leggi anche –Occupazione in crescita in Italia: a marzo 22 mila lavoratori in più A questo si aggiunge infine il tema dell’invecchiamento della popolazione attiva. Inapp mette a confronto “l’indice di struttura“, dato dalrapporto tra la popolazione in età attiva più anziana(40 e 64 anni) equella di età compresa tra 19 e 39 anni, con “l’indice di ricambio” che confronta invecechi sta per uscire dalla vita attiva (60-64 anni)con quelli che vi stanno per entrare (15-19 anni). Le Regioni con “indice di struttura” più alto, ampiamente superiore a 2, ovvero quelle con lavoratori più anziani, sonoSardegna, Liguria e Lazio, e il settore con l’età media più alta è quello della Pubblica amministrazione.La Sicilia ha un indice di struttura “medio” di 1,96 in Italia, ma tra i più bassi per il ricambio,di poco superiore a 1,2. Ovvero: nell’Isola ci saranno sempre più lavoratori da sostituire, ma ci sono sempre meno giovani per farlo. La soluzione proposta da Inapp appare quindi logica: aumentare da subito l’accesso al lavoro dei giovani, che al momento nella fascia tra 18 e 34 anni sono solo il 21,3 per cento degli occupati, dandola precedenza alle donneche scontano a oggi unbasso tasso d’occupazione e salari più bassi degli uomini, soprattutto al Sud.