Assicurare pari opportunità a donne e uomini sul lavoro conviene. Non solo dal punto di vista dei principi, ma anche da quello del risparmio fiscale. “A partire da quest’anno, chi rispetta i requisiti sulla parità di genere fissati dall’Unione europea può avere diritto a sgravi fino a 50 mila euro”, dice a FocuSicilia Simonetta Murolo, commercialista e consigliera dell’Ordine dei Commercialisti di Catania, del quale presiede il Comitato per le pari opportunità. Da gennaio 2022, spiega l’esperta, le aziende italiane sopra i 50 dipendenti dovranno dotarsi della Certificazione sulla parità di genere, un documento che assicuri un trattamento equo alle donne sul posto di lavoro. “L’idea è quella di renderla obbligatoria per partecipare a bandi e gare pubbliche, sul modello della certificazione antimafia”, aggiunge Murolo. Investire sul lavoro femminile, però, “conviene a prescindere: molti studi hanno dimostrato che le aziende che assicurano un giusto trattamento alle lavoratrici hanno performance migliori, sia sul fatturato che sulla reputazione aziendale.
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I benefici per le aziende
A chiedere una maggiore attenzione alla condizione lavorativa delle donne è l’Europa, che ha inserito la parità di genere tra gli obiettivi del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Il governo italiano ha recepito le indicazioni con la legge 162/2021, che “potenzia” il Codice delle pari opportunità risalente al 2006. All’articolo quattro viene introdotta la Certificazione per la parità di genere, al fine di verificare “le politiche e le misure concrete adottate dai datori di lavoro per ridurre il divario”, con particolare riguardo “alla parità salariale a parità di mansioni, alle politiche di gestione delle differenze di genere e alla tutela della maternità”. All’articolo cinque, inoltre, è previsto uno sconto sul versamento dei contributi previdenziali per i titolari in regola con la certificazione, “in misura non superiore all’un per cento e nel limite massimo di 50 mila euro annui per ciascuna azienda”. Ancora, le aziende in regola godranno di “un punteggio premiale ai fini della concessione di aiuti di Stato a cofinanziamento degli investimenti”.
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Sanzioni “all’italiana”
Le linee guida per la certificazione sono state diffuse dal ministero per le Pari opportunità a marzo di quest’anno, e le aziende dovranno adeguarsi entro dicembre 2022 per usufruire delle agevolazioni a partire dall’anno successivo. In attesa che la certificazione si diffonda in modo capillare, il Governo ha potenziato altri articoli del Codice delle pari opportunità del 2006. Come quello relativo al rapporto bimestrale sulla situazione del personale maschile e femminile, previsto per le aziende sopra i cento dipendenti. Con la legge 162/2021 questa soglia è dimezzata a 50 dipendenti, ma l’auspicio di Murolo è che con il tempo le regole sulla parità di genere possano interessare “anche le piccole e medie imprese, che sono le più presenti sul nostro territorio”. Infine è stata introdotta una sanzione “da mille a cinquemila euro” per le imprese che non presentino il rapporto. “Questa è una tipica norma all’italiana, visto che la sanzione non è legata al contenuto del documento, ovvero che la parità di genere sia rispettata, ma al solo fatto che venga presentato o meno”, osserva la commercialista.
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In Sicilia “numeri impressionanti”
La situazione in Sicilia non è delle migliori. Secondo gli ultimi dati Istat, nel 2021 il tasso di occupazione delle donne tra i 15 e i 64 anni è stato del 29 per cento, mentre quello degli uomini supera il 53 per cento. La sproporzione riguarda anche le paghe. Secondo l’Istituto nazionale di statistica, nel 2019 la media delle retribuzioni per i lavoratori di sesso maschile è stata di 16.300 euro l’anno, mentre per le donne si ferma a 11.260 euro. “Sono numeri che fanno impressione, sia per la sproporzione nel trattamento che per la fotografia dell’economia siciliana che viene fuori”, osserva Murolo. Per quanto riguarda la retribuzione si tratta soprattutto di far coincidere ciò che le donne fanno in ufficio con ciò che risulta sulla carta. “Spesso si utilizza semplicemente un inquadramento più basso, e il risultato è un retribuzione minore rispetto al lavoro effettivamente svolto”. Altro tema delicato è quello della scelta tra maternità e lavoro, che nel Mezzogiorno è determinata soprattutto dalla carenza di servizi e infrastrutture.
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Il Pnrr e i servizi per l’infanzia
Sebbene alcuni capoluoghi siano ai primi posti per tasso di fertilità e numero di figli per donna, la Sicilia è in fondo alle classifiche per quanto riguarda asili e servizi per l’infanzia. “La situazione è inversamente proporzionale, e questo certo non aiuta le donne a lavorare serenamente”, aggiunge Murolo. Da questo punto di vista l’Europa si sta muovendo. Il Pnrr stanzia circa tre miliardi di euro per l’istruzione tra zero e due anni. Il 31 maggio è stato chiuso l’ultimo bando da 70 milioni per gli asili nido nei Comuni del Mezzogiorno, con 74 richieste di finanziamento, 22 delle quali avanzate dalla Sicilia. Per Murolo si tratta di iniziative importanti, “che possono contribuire a colmare il gap con il resto del Paese”, ma per cambiare davvero le cose serve una battaglia culturale. “Dobbiamo capire che non succede niente di male se un giorno un bambino rimane con il padre. Potrebbe persino divertirsi”, conclude la commercialista.