Lavoro: se il part time è fittizio il reato di sfruttamento equivale a capolarato

Con la sentenza n. 24388 del 24 giugno 2022 la Cassazione penale afferma che, nell’ipotesiin cui i dipendenti formalmente assunti con contratto part-time (e come tali retribuiti)vengano costretti a lavorare a tempo pieno, non soltanto viene integrato il reato disfruttamento del lavoro, di cui all’art. 603-bis c.p. ma che questo equivale a caporalato. Il contratto part-time o a tempo parziale è una forma di rapporto di lavoro caratterizzata daun orario lavorativo ridotto rispetto a quello normale a tempo pieno.Contratto part-time: il significato di questa tipologia contrattuale non risiede solo nelnumero di ore, ma anche nella loro distribuzione. Sulla base di queste ultime sono previstetre tipologie. Analizziamo insieme.Part-time orizzontale: il lavoratore lavora tutti i giorni a orario ridotto. Sono contratti part-time orizzontali quelli in cui il lavoratore si reca sul posto di lavoro tutti i giorni, ma per 4 o5 ore, rispetto – ad esempio – a un contratto full-time di 8 ore.Part-time verticale: il lavoratore lavora a tempo pieno, ma solo in alcuni giorni dellasettimana, del mese, o dell’anno.Part-time misto: combina part-time orizzontale e verticale. Potrebbe essere richiesto aldipendente di lavorare alcuni giorni con orario full-time, e altri con orario part-time. Il caporalato è una forma illegale di reclutamento e organizzazione della mano d’opera.In altre parole, il caporalato può tradursi nello sfruttamento del personale.L’art. 603 bis c.p. punisce con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da 500 a 1.000euro per ciascun lavoratore reclutato, chiunque:recluta manodopera allo scopo di destinarla al lavoro presso terzi in condizionidi sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori;utilizza, assume o impiega manodopera, anche mediante l’attività di intermediazione,sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato dibisogno. La norma in commento, chiarisce altresì che costituisce indice di sfruttamento la sussistenza di una o più delle seguenti condizioni:la reiterata corresponsione di retribuzioni in modo palesemente difforme dai contratticollettivi nazionali o territoriali stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative alivello nazionale, o comunque sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoroprestato; la reiterata violazione della normativa relativa all’orario di lavoro, ai periodi di riposo, al riposo settimanale, all’aspettativa obbligatoria, alle ferie;la sussistenza di violazioni delle norme in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro;la sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, a metodi di sorveglianza o asituazioni alloggiative degradanti. Il vicenda giunta all’attenzione della Suprema Corte riguarda il legale rappresentante el’amministratore di un’azienda citati in giudizio per avere imposto una modifica unilateraledel contratto di lavoro, che passava da full-time a part-time con retribuzione diminuita.Nello specifico, i dipendenti:continuavano a lavorare per un numero di ore corrispondenti al contratto a tempo pieno,percependo la retribuzione prevista dal C.C.N.L. ai contratti part-time;non usufruivano di ferie e permessi previsti dalla contrattazione collettiva;lavoravano per 48 ore settimanali. La IV Sezione della Cassazione Penale ha preliminarmente osservato che l’articolo 603 bisc.p., al fine di realizzare un’ampia ed efficace tutela delle concrete situazioni che possanorealizzarsi in ambito lavorativo, prevede che il reato di sfruttamento del lavoro si perfezioniattraverso modalità alternative che riguardano non solo l’assunzione, ma anchel’utilizzazione o l’impiego di manodopera in condizioni di sfruttamento e conapprofittamento dello stato di bisogno. Tra le condizioni che realizzano il reato di sfruttamento del lavoro e intermediazione illecita di manodopera ex art 603 bis c.p., la Cassazione annovera anche il caso della stipula di contratti a tempo parziale che nascondono invece attività a tempo pieno del lavoratore. Secondo i Giudici di legittimità, infatti, lo sfruttamento può integrarsi costringendo i dipendenti a lavorare per un numero di ore superiore a quello previsto dalla contrattazione collettiva, corrispondendo agli stessi una retribuzione inferiore rispetto ai minimi indicati nel CCNL o ancora impedendo loro di usufruire delle ferie e dei permessi. La Corte di Cassazione, con sentenza n. 24388 del 24 giugno 2022, ha pertanto statuito che obbligare i dipendenti a osservare l’orario di lavoro a tempo pieno, pagandoli come part-time, equivale a caporalato. Secondo la Cassazione, dunque, chi obbliga un dipendente a lavorare a tempo pieno pur avendo un contratto di part-time incorre nel reato di caporalato. Infine la Corte di Cassazione, in ordine al requisito dell’approfittamento dello stato dibisogno, condivide quanto statuito dal Giudice di prime cure, secondo cui i lavoratori eranodi fatto costretti ad accettare le condizioni imposte per la necessità di mantenereun’occupazione, non esistendo possibili reali alternative di lavoro.La Corte precisa, infatti, che ai fini del reato di intermediazione illecita e sfruttamento dellavoro, lo stato di bisogno non va inteso come uno stato di necessità tale da annientare inmodo assoluto qualunque libertà di scelta, ma come una situazione di grave difficoltà, anche temporanea, in grado di limitare la volontà della vittima, e da indurla ad accettare condizioni particolarmente svantaggiose. La sentenzahttps://i2.res.24o.it/pdf2010/Editrice/ILSOLE24ORE/QUOTIDIANI_VERTICALI/Online/_Oggetti_Embedded/Documenti/2022/07/06/24388.pdf