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Legge di Bilancio, cosa cambia per le piccole partite Iva

La seconda fase della flat tax non scatterà. Il tetto dell'ex regime forfettario dovrebbe rimanere a 65 mila euro, ma con nuovi vincoli e meno semplificazione

Ormai il cambiamento delle norme sulle partite Iva è come la revisione della caldaia: si fa una volta all’anno. La manovra 2020 lo conferma. Il governo non sembra intenzionato solo a bloccare la flat tax (che poi non era così flat), ma anche a ritoccare il cosiddetto regime forfettario (che forfettario non sarà più). Sono coinvolte – in modi diversi – le partite Iva (lavoratori autonomi o piccole imprese) che fatturano fino a 100 mila euro l’anno.

Bloccata la flat tax oltre i 65 mila euro

Intanto la certezza: la flat tax voluta dalla Lega non andrà avanti. Il primo passo è già statto fatto: chi fattura meno di 65 mila euro, oggi paga al Fisco il 15 per cento di quanto incassato. Un forfait che non ha solo lo scopo di far sborsare meno alle piccole attività, ma anche quello di semplificare (di molto) le procedure. Da questo punto di vista, quella definita come “flat tax” è stata in realtà un ampliamento del regime forfettario, che nelle versioni precedenti aveva limiti di fatturato meno che dimezzati. La tassa piatta si sarebbe dovuta ampliare dal 2020, con un’imposta al 20 per cento per le partite Iva che fatturano tra i 65 e i 100 mila euro. Questa misura sarà bloccata.

Stessa soglia, nuovi limiti

Dovrebbe reggere l’attuale limite dei 65 mila euro. Non significa però che la platea rimarrà la stessa. I beneficiari saranno molti meno. La scorsa legge di Bilancio aveva infatti rimosso alcuni vincoli, che riguardavano tetti alla spesa in beni strumentali (20 mila euro) e personali (sempre 20 mila euro). In pratica, pur incassando meno di 65 mila euro, rimarrebbe fuori dal regime agevolato chi ha speso più di 20 mila euro per pagare cose e persone. Il vecchio regime pre-flat tax aveva vincoli ancora più stringenti: non si potevano superare i 5 mila euro l’anno. Le modifiche non dovrebbero avere un grande impatto sugli autonomi che sostengono spese contenute, ma potrebbe escludere le piccole e piccolissime imprese. Basta, ad esempio, pagare più di 20 mila euro l’anno un collaboratore. Quindi stessi limiti di fatturato, quindi, ma a condizioni diverse. È un po’ come correre i cento metri, solo che adesso vanno percorsi con in spalla uno zaino di 20 chili. Il traguardo è sempre lì a cento metri, ma raggiungerlo è più complicato.

No a doppio lavoro e pensionati-consulenti

Altra novità: dovrebbe essere fuori dal regime al 15 per cento chi incassa più di 30 mila euro da lavoro dipendente o pensione. La soglia dei dei 65 mila euro riguarda infatti solo il fatturato da partita Iva, che può essere combinato con quello garantito da altre forme contrattuali. Una possibilità che ha creato distorsioni: pare infatti aver favorito un doppio lavoro o la figure del pensionato-consulente. Per fare un esempio: l’azienda si libera di un contratto pesante, magari con un prepensionamento, assicurando però una collaborazione retribuita con partita Iva. L’impresa risparmia e il lavoratore incassa un netto paragonabile alla sua vecchia busta paga. Con buona pace del Fisco (con incassa meno) e dei più giovani (che vedono rallentare un già lento ricambio occupazionale). Il problema era stato suggerito, lo scorso maggio su Lavoce.info, dall’economista Marco Leonardi e dal commercialista Andrea Dili. Nel primo trimestre 2019, il maggiore incremento delle partite Iva rispetto alla media dei tre anni precedenti si è avuto proprio tra tra gli over: +29 per cento tra i 51 e i 65 anni e addirittura +41 per cento tra chi superava questa soglia (ed era quindi in età da pensione). E così il primo segmento di flat tax, nato anche per aiutare giovani imprese e autonomi senza contratto stabile, è finito per diventare un regime per lavoratori anziani.

Addio forfait: il regime si complica

Piccolo problema lessicale. Come si chiamerà il nuovo regime? La flat tax è sempre stata più slogan che sostanza. Ma con le modifiche della prossima manocra si uscirà una volta per tutte dall’equivoco: non è una tassa piatta. Rischia, però, di non andar bene neppure la vecchia espressione di “regime forfettario”. Per aumentare i controlli, potrebbero infatti essere reintrodotta una serie di obblighi, come il conto corrente dedicato ai flussi finanziari dell’attività e la tenuta delle scritture contabili. Per il calcolo dell’imponibile potrebbero tornare spese deducibili e sgravi. In breve: non c’è più un forfait perché il meccanismo diventa più laborioso. Troppo presto per dire se sarebbe conveniente o meno dal punto di vista economico. Di sicuro però cancellerebbe uno degli obiettivi del vecchio forfettario: la semplificazione. Non a caso questo è uno dei punti su cui la maggioranza sta discutendo di più.

Premi per la fatturazione elettronica

Tutto quello scritto fino a ora potrebbe essere rimodulato in base all’utilizzo della fattura elettronica. Il Documento Programmatico di Bilancio si limita a parlare di un “regime premiale”. I dettagli sono da definire. Ma queste due parole lasciano intendere che dovrebbe continuare a non essere obbligatoria. Sarebbe un’opzione che, se adottata, comporterebbe alcuni vantaggi (come l’assenza o l’innalzamento dei tetti di spesa).

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Paolo Fiore
Paolo Fiore
Leverano, 1985. Leccese in trasferta, senza perdere l'accento: Bologna, Roma, New York, Milano. Ho scritto o scrivo di economia e innovazione per Agi, Skytg24.it, l'Espresso, Startupitalia, Affaritaliani e MilanoFinanza. Aspirante cuoco, sommelier, ciclista, lavoratore vista mare. Redattore itinerante per FocuSicilia.

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