Dopo decenni difficili, probabilmente la rinascita del limone dell’Etna passa per l’Igp. Il riconoscimento all’agrume coltivato alle falde del vulcano fino al livello del mare è arrivato nell’autunno scorso. L’Igp certifica che si tratta di un prodotto con caratteristiche uniche, peculiari e di pregio. Dopo l’Interdonato di Messina e il limone di Siracusa, il frutto che cresce nei 2.500 ettari di “giardini” tra Aci Castello e Calatabiano, è il terzo in Sicilia a guadagnarsi l’indicazione geografica protetta.
Il vulcano celebrità mondiale
La certificazione costituisce valore aggiunto in quanto garantisce il consumatore sulla tipologia del prodotto. In questo caso, inoltre, alla indicazione geografica si aggiunge il fascino della denominazione Etna. Il vulcano, grazie anche alla frenetica attività eruttiva degli ultimi anni è infatti una vera celebrità mondiale. Lo conferma a FocuSicilia Renato Maugeri, produttore di limoni, responsabile del settore agrumicolo di Confagricoltura Catania e presidente dell’associazione che ha portato avanti la lunga procedura per l’assegnazione del riconoscimento. A questo proposito Maugeri cita uno studio della Camera di commercio di Catania, secondo cui su Google spesso la parola relativa all’Italia più ricercata è proprio il nome Etna. Lo abbiamo intervistato. Guarda il video
Dall’associazione al Consorzio
Dall’associazione adesso si sta passando alla costituzione del Consorzio che raggrupperà tutti i produttori che aderiranno volontariamente al progetto: “Sicuramente saremo in tanti – dice Maugeri – il nome Etna, come dicevamo, è molto amato in Italia e all’estero. È pubblicità gratuita nel mondo”. Per l’adesione è necessaria anche l’iscrizione all’istituto zooprofilattico sperimentale della Sicilia, che si occuperà della certificazione. “Faccio appello a tutti i produttori perché si iscrivano al più presto, ci aspettiamo tanti vantaggi”.
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Prezzi in rialzo, periodo d’oro lontano
Renato Maugeri spera anche nella ripresa del prezzo, tendenza già in atto da qualche anno, e parla di un incremento anche nei nuovi impianti. Certo, i fasti degli anni ’70 sono lontani: allora sotto l’Etna si coltivavano a limone quasi 10 mila ettari e ogni giorno, nei periodi di raccolta, principalmente dalla stazione ferroviaria di Giarre partivano migliaia di “vagoni” (ciascuno pari a 10 mila chili) di frutto verso il nord Italia e l’estero. In quegli anni si vedevano spesso nel porto di Riposto grandi navi mercantili provenienti dal nord Europa e dall’Unione Sovietica che scaricavano legname o carta da macero per le vicine cartiere di Marina di Cottone e imbarcavano migliaia di tonnellate di limoni.
Una tradizione che risale al ‘700
La concorrenza internazionale, la scarsa attenzione alla qualità e in certi casi anche la tendenza a cercare di speculare inviando prodotto scadente hanno poi innescato una crisi lunghissima che ha portato all’abbandono di molte coltivazioni, fino a ridurre a un quarto la superficie dedicata ai limoni. Una gloriosa tradizione, risalente alla seconda metà del ‘700 ha rischiato di morire per sempre. Allora, dai porti di Riposto e Catania partivano bastimenti carichi di “agrocotto”, succo di limone concentrato usato nei paesi nordici come rimedio per lo scorbuto. Oggi si stima la produzione totale del limone dell’Etna, potenzialmente Igp, in circa 75 mila tonnellate per anno.
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Femminello e monachello
Una produzione che sarà certificata con grandi livelli di qualità: “L’igp prevede sia le coltivazioni bio che quelle convenzionali – precisa Maugeri – ma saranno in ogni caso garantiti gli alti standard previsti dalle norme regionali”. Nell’Igp rientrano entrambe le cultivar presenti, il femminello e il monachello. A loro volta, le cultivar danno frutti che prendono nomi diversi in base alla stagione di raccolta: Primofiore in inverno, Bianchetto in primavera, Verdello in estate.
Verdello, fiore all’occhiello
Proprio quest’ultimo è il fiore all’occhiello dell’Igp Etna. “Certo – conferma Maugeri – solo il limone produce un frutto fuori stagione di ottima qualità. E solo sull’Etna questo frutto viene prodotto con una precisa tecnica, quello della ‘secca’”. In sostanza il terreno vulcanico consente di portare la pianta alla sofferenza idrica in estate, e quando le foglie si accartocciano viene fornita acqua in grande quantità. In questo modo si ottiene una fioritura extra, che darà il frutto nell’estate successiva. Così si produce il verdello. E si produce solo qui, sottolinea Maugeri: “Alcuni verdelli si producono anche nella zona di Siracusa, ma sono frutti spontanei legati all’andamento climatico, niente di pianificato”.
“Forse i migliori limoni al mondo”
Il presidente dei produttori di limoni Igp ci tiene anche a esaltare la qualità degli agrumi “vulcanici”: “In Sicilia probabilmente coltiviamo i migliori limoni al mondo, e quello dell’Etna penso sia il migliore della Sicilia per caratteristiche organolettiche e di aroma, come provato da molti studi scientifici. Una qualità qui garantita dal terreno vulcanico, dalla gran quantità di ore di sole, dalla brezza marina e dal vento fresco che in estate, di notte, scende dalla montagna”. La pensava così anche qualche viaggiatore del Grand Tour, come il francese Visconte De Marcellus, che a metà ottocento parlava di una delizia assaggiata a Giarre, una granita fatta con il succo di limone fresco, appena spremuto, unito alla neve dell’Etna.
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Territorio Igp e cambiamenti climatici
La coltivazione del limone adesso convive, soprattutto in zone costiere, anche con vivai e coltivazioni di frutti tropicali come avocado e mango. Proprio a causa dei cambiamenti climatici nel disciplinare Igp non viene indicata una altitudine massima di coltivazione ma soltanto i comuni. Quindi potrà essere limone dell’Etna certificato quello coltivato nei territori di Aci Bonaccorsi, Aci Castello, Aci Catena, Aci Sant’Antonio, Acireale, Calatabiano, Castiglione di Sicilia, Fiumefreddo di Sicilia, Giarre, Mascali, Piedimonte Etneo, Riposto, Santa Venerina, San Gregorio di Catania, Valverde, Zafferana Etnea. Un vasto territorio nel quale potrebbero rinascere tanti agrumeti, secondo le speranze di Maugeri.
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Limoni dall’altro mondo
Nel disciplinare del limone dell’Etna è espressamente vietato “l’uso di cere e fungicidi di sintesi in post raccolta”, elemento che garantisce la salubrità e commestibilità dell’intero frutto. Lo stesso non si può dire di limoni d’importazione dall’altro capo del mondo (Argentina e Sud Africa soprattutto), che spesso si trovano, in estate soprattutto, sugli scaffali dei supermercati. Anche dei supermercati presenti in quella che negli anni ’60 venne battezzata “Riviera dei limoni”, la costa da Catania a Taormina, con epicentro Acireale e le sue frazioni marine. Quasi una beffa.
Prodotti mummificati e sgradevoli
Qui Maugeri si indigna: ” I limoni argentini o sudafricani sono bombe ecologiche – sbotta – sono pieni di prodotti vietati in Italia e pericolosissimi per la salute, però permessi in Europa”. I limoni vengono venduti con l’avvertenza che la buccia non è edibile, cioè non è commestibile. “Ma se la buccia non è edibile come è possibile che il frutto lo sia? Chi ha inventato una cosa del genere?”, si arrabbia Maugeri, che indica come colpevoli “le lobby di Bruxelles”. In realtà, dice “sono limoni mummificati, sgradevoli all’olfatto”.
Appello al Ministero
“Sono le scelte della grande distribuzione a portare sugli scaffali questa merce che non marcisce mai, e a volte l’indicazione che la buccia non è edibile neanche viene esposta”. Maugeri conclude con un appello alle istituzioni: “Il nostro Ministero dell’agricoltura deve assolutamente approfondire la questione”.