#andràtuttobene. Quante volte abbiamo letto, sentito, detto, scritto, pensato questa frase? Compariva nella timeline dei nostri social network, nei disegni dei nostri figli o nipoti, negli spot pubblicitari, nei post-it lasciati per casa, nelle videochiamate con amici o parenti lontani. Un abbraccio virtuale, un bacio virtuale e vedrai che #andràtuttobene. Che la cassa integrazione arriverà, che nessuno perderà il lavoro, che torneremo ad abbracciarci e a bere un bicchiere di vino in compagnia. Che viaggeremo e andremo al mare. Che ci sposeremo o avremo dei figli. Che saremo migliori, via. Che daremo peso alle cose importanti. Bene. Anzi male. Perché cosa ci rimarrà addosso di questa pandemia? Una gestione irresponsabile.
L’Inps fa sapere che ci sono settantamila lavoratori siciliani che ancora attendono l’assegno di cassa integrazione in deroga, quella (mal)gestita dalla Regione. In Sanità dicono che ci sono quattro milioni di visite da recuperare. Sul fronte giustizia, poi, solo a Palermo abbiamo diecimila processi in attesa di giudizio. E a un mese dall’approvazione della fantomatica Finanziaria regionale? Il vuoto cosmico. Finora non si sa nemmeno se sia stata presentata a Roma e se sia viabile in termini economici. Piuttosto, perché no, buttiamoci ancora una volta a disquisire sul ponte dello Stretto: un secolo e mezzo di progetti, studi, convenzioni, annunci, leggi, finanziamenti, fallimenti e liquidazioni. Restano le carte e le penali a carico dello Stato. La perfetta metafora della propaganda da panem et circenses, della mediocrità politica.
Mentre si statalizza Alitalia (a fior di quattrini) e le altre compagnie low cost minacciano di abbandonare gli scali siciliani (compresa la stessa Alitalia, che ingrata), mentre Anas e Regione litigano sui cinque anni persi dietro un pilone del viadotto Himera o sull’assurdo inferno che da sette anni martirizza la Palermo-Agrigento, mentre quel pezzo della futuribile Siracusa-Gela è già impraticabile e la Catania-Ragusa continua a trascinarsi tra un sì, un no e un forse d’un tavolo tecnico e una pacca sulle spalle, il ponte sullo Stretto si staglia come la soluzione a tutti i mali. Arriva come un deus ex machina da tragedia greca ogni qual volta bisogna distrarre l’attenzione dei siciliani (e non solo) rispetto al caos generale in cui versa l’isola. Eppure siamo lontani mille miglia da un piano compiuto, su molte scelte di fondo c’è stata una colpevole inerzia. Un esempio tra gli altri? Ancora oggi non c’è un progetto per il completamento dell’asse ferroviario Napoli-Palermo, individuato come priorità (bella parola) già nel 2016. Il Decreto Rilancio finanzia il progetto di fattibilità della Salerno-Reggio Calabria ma progettarla senza decidere se proseguirà con l’attraversamento stabile dello stretto di Messina (possibile anche senza ponte, eh) indica una mancanza di visione prima che un errore tecnico. L’irresponsabilità, appunto.
E se questo ancora non bastasse prendiamocela col Nord arraffone, con la Milano da bere, con l’Unione europea che non sgancia soldi (salvo poi eliminare a colpi di bianchetto la confermata “riserva” del 34 per cento degli investimenti pubblici per il Sud e l’utilizzazione del Recovery Fund messo a disposizione da quei cattivoni di Bruxelles che offrono un’opportunità irripetibile, se solo si avesse una visione). Tanto alla fine della fiera #andràtuttobene. Continueremo ad aspettare sussidi e misure che non arrivano, a credere alle parole di chi non sa decidere, a tenere aperte le aziende tra un suicidio e un picchetto, un valzer di mafia e un usuario in agguato, a garantire lavoro a tutti (coi voucher se va bene, col nero se va male), ad affidarci a questo o quell’uomo lì, perché in fondo è “persona perbene”. Ma c’è qualcuno che abbia il coraggio di assumersi la responsabilità e dire: “No cari siciliani, non andrà tutto bene”. Le parole hanno fatto il loro corso. Cercasi urgentemente fatti e persone responsabili per la fase 2 e mezzo, 3 e 4.