“La giustificazione che si dà ai riscontri drammatici sul mercato del lavoro siciliano è quasi sempre il sommerso, ma non è così. La situazione è autenticamente drammatica”. Maurizio Avola, docente di Sociologia dei processi economici e del lavoro del dipartimento di Scienze Politiche dell’università degli Studi di Catania, sgombra subito il campo da interpretazioni diverse da quelle suggerite dai numeri: il 39 per cento dei giovani siciliani tra i 15 e i 29 anni non lavora, non studia e non è impegnato in nessun’altra attività, “Non c’è altra interpretazione”, dice. Il dato sui Neet viene da un recente studio di Unicef, ma “è così da almeno dieci anni, da quando è iniziata la crisi economica. Gli studi sociologici e i rapporti di enti come Svimez lo confermano non solo per i giovani inattivi ma per tutti gli indicatori del mercato del lavoro. La Sicilia è ultima in tutto”, afferma lo studioso.
Peggio della Sicilia? “Mayotte, al largo del Madagascar”
I dati di Istat, ripresi e ampliati dagli studi di enti come Banca d’Italia, l’Osservatorio Statistico dei Consulenti del Lavoro e la Fondazione Leone Moressa, fissano la disoccupazione in Sicilia sopra al 27 per cento, con punte che superano il 38 nelle province di Agrigento e Trapani. Numeri che per il docente “sono dovuti a una situazione strutturale, alla quale si è guardato spesso con sufficienza. Basti pensare – prosegue Avola -, che non esiste in Europa una sola regione con dati peggiori della Sicilia. E subito dopo vengono Calabria, Campania e Puglia”. Per trovare chi sta peggio di noi bisogna andare a cercare nei territori d’oltremare. “Solo Mayotte, un possedimento francese a largo del Madgascar, ha dati peggiori. In passato li hanno avuti Ceuta e Melilla, exclavi della Spagna in Marocco”, spiega il docente. Avola inoltre specifica: “I numeri non vengono da informazioni di carattere amministrativo, ma da interviste e rilevazioni di noi studiosi sulle forze lavoro con campioni molto ampi in tutta Europa”. Per il Mezzogiorno e la Sicilia il problema ha quindi origini ben più complesse “della mancanza di infrastrutture o politiche di sostegno. Si tratta di un insieme di fattori che comprendono emigrazione, la sfiducia che porta a non cercare più una occupazione e una classe imprenditoriale carente dal punto di vista dell’innovazione”.
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L’aumento dell’istruzione e i mismatch domanda e offerta
Paradossalmente, il miglioramento dell’istruzione media negli ultimi venti anni è tra i primi fattori che spiega la crisi. “Nel 1995 – prosegue Avola -, in Italia avevamo il 54 per cento dei lavoratori con al massimo la licenza media. Il 37 per cento erano diplomati, il 9 laureati. Nel 2017 avevano la licenza media il 32 per cento, un diploma il 47 e con la laurea il 21. Nel frattempo però, soprattutto in Sicilia, la qualità del lavoro offerto non è aumentata, restando dequalificata, in totale controtendenza con il resto del mondo e dell’Europa in particolare. Il risultato è una emigrazione che ha portato 800 mila giovani in pochi anni a lasciare il Sud definitivamente. Del resto perché un laureato in giurisprudenza o ingegneria dovrebbe accettare una qualifica non corrispondente, una paga inferiore e un contratto non stabile? C’è un evidente mismatch, una mancanza di corrispondenza, tra domanda e offerta di lavoro”, dichiara il docente.
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Il lavoro degli stranieri e gli istruiti ma scoraggiati
Una situazione che spiega anche come “i lavoratori stranieri abbiano mediamente percentuali di disoccupazione più basse degli italiani e dei siciliani“, perché di solito impiegati in mansioni dequalificate. “Un discorso – avverte il professor Avola – che non ha nulla a che fare con la retorica dei ‘lavori che gli italiani non vogliono più fare’, perché la volontà di emigrare avviene sempre più spesso già dalla scelta dell’università. Un quarto degli studenti delle università del centro e nord Italia ha la residenza al Sud. Spesso non fa mai più ritorno semplicemente perché alla ricerca di un contesto migliore”. Per chi ha un’alta istruzione e resta in Sicilia è quindi più facile “finire nella statistica degli scoraggiati, dei Neet, dopo aver magari tentato a lungo di trovare un impiego non solo in linea con le proprie competenze, ma con una stabilità e un compenso adeguato anche per qualifiche inferiori”. Anche al nord Italia e all’estero ci sono laureati che svolgono mansioni adatte a un diplomato a chi ha solo la licenza media, ma qui abbiamo un doppio svantaggio. Si deve finire di nascondere la polvere sotto il tappeto. E credo che finalmente qualcuno se ne sia accorto”, conclude il professor Maurizio Avola.