Millennial per appartenenza generazionale, studi in Fashion Design presso l’Afol Moda di Milano e specializzazione in nuovi materiali tessili e tecnologie per la moda sostenibile, imprenditrice e inventrice – ad oggi ha depositato ben due brevetti a suo nome – Adriana Santanocito, catanese, dal 2019 è amministratore unico della start up innovativa Ohoskin, ma non è affatto alla sua prima esperienza imprenditoriale, avendo già contribuito a fondare tre start up.
Il suo nome, insieme a quello di Enrica Arena, è conosciuto per aver lanciato Orange Fiber. Qual era l’idea forte che allora la ispirò?
La mia storia parte da un’arancia ed è sempre stata alimentata dall’amore: per la moda, per la mia Sicilia, per i materiali tessili. Nel 2011, mentre studiavo Fashion Design a Milano, ho iniziato una ricerca sui tessili sostenibili. È stata Livia Firth con un suo magistrale intervento a ispirarmi. Nello stesso momento in cui cominciavo a scoprire il mondo della moda sostenibile, mi accorgevo delle difficoltà dell’industria agrumicola nella mia Sicilia. Il frutto simbolo della mia terra non riusciva a sostenere l’economia.
E quindi cosa ha fatto?
Ho esplorato la fattibilità della mia idea di un tessuto dalle arance in una tesi finale di fine percorso di studio, supportata dalle professoresse Manuela Rubertelli ed Elena Vismara del Politecnico di Milano. Questa fu l’idea che ispirò la nascita di Orange Fiber, che ancora oggi utilizza il sottoprodotto dell’industria agrumicola per creare un tessuto sostenibile per l’alta moda e dove dal 2014 ad aprile 2019 ho lavorato e ricoperto il ruolo di legale rappresentante all’interno dell’azienda fianco a fianco con la co-founder Enrica Arena.
Poi ha lasciato. Con quale spirito ha vissuto questo disimpegno da Orange Fiber?
Il 5 aprile 2019 ho rassegnato le mie dimissioni volontarie dal cda della Orange Fiber srl restando socia ma senza ruoli operativi o amministrativi. L’azienda resterà sempre nel mio cuore ma dopo cinque anni sentivo che per lei era arrivata l’ora di camminare da sola. Quando mi si è presentata davanti l’opportunità di Ohoskin, ho deciso di alzare la mia asticella e impegnarmi ancora di più per rivoluzionare il mondo della moda e del design e avere un impatto positivo per il pianeta con un progetto ambizioso.
La nuova start up promette di essere rivoluzionaria. In cosa consiste la business idea?
Ohoskin è l’alternativa cruelty-free e sostenibile alla pelle di lusso. Creata con arance e cactus siciliani, genera processi di economia circolare per il bene degli animali, del pianeta e delle persone. I sottoprodotti di lavorazione industriale diventano risorse per creare un prodotto di lusso, la vita degli animali viene salvaguardata e il pianeta viene rispettato, grazie a un processo di produzione sostenibile per l’ambiente, a differenza dell’industria conciaria che per i processi di concia impiega processi inquinanti.
Avete collaborato con altre realtà produttive?
Il processo per ottenere Ohoskin comincia in Sicilia, con le sue risorse e le sue imprese. Il processo si articola in due fasi: grazie a Sicilbiotech Srl, un’alleanza tra Ohoskin e aziende del settore agroindustriale e chimico, abbiamo contribuito a dar vita a un vero e proprio polo industriale nel comune di Butera (Caltanissetta. Qui vengono lavorati i rifiuti di arance e pale di ficodindia delle industrie alimentare e cosmetica fino a diventare il biopolimero che darà vita a Ohoskin.
La fase successiva del processo produttivo qual è?
Il semilavorato viene spedito in Lombardia. Qui, negli stabilimenti di Novartiplast, un’azienda storica nella produzione di pelli sintetiche, Ohoskin prende definitivamente forma, diventando il seme di un nuovo lusso, un prodotto di alta qualità che rappresenta un’alternativa vegana al cuoio di orgine animale, per sensazione tattile, texture, impatto visivo e performance.
Chi la collabora nel team imprenditoriale?
Ho la fortuna di lavorare accanto a Roberto Merighi, imprenditore e chimico e a Massimo Cecchi, advisor per noi e business developer director in Novartiplast. Inoltre, in Ohoskin collaboro con un team di marketing e comunicazione variegato e molto affiatato: Alessandro, Sara, Alessia. Oltre a dare il mio contributo a cambiare il mondo della moda in chiave sostenibile, ho creato posti di lavoro in Sicilia, contribuendo a trattenere nella nostra regione ragazzi capaci e di talento.
Cosa avete fatto fin ad ora?
A gennaio di quest’anno abbiamo sviluppato la prima campionatura industriale del prodotto Ohoskin e la sua cartella colori. A febbraio abbiamo presentato per la prima volta Ohoskin durante l’evento Women2027. Siamo stati selezionati dall’Innovation Center di Intesa Sanpaolo, Assobiotec e Cluster Spring tra le 25 startup più promettenti del 2021 che accedono al programma di accelerazione BioInItaly. Negli ultimi due mesi siamo tra le 15 startup ammesse al percorso di preincubazione Call4Fashion. Inoltre, siamo stati selezionati per il Capacity Building Program del progetto europeo “STAND Up! – Museo del Tessuto di Prato”, finanziato dall’Unione Europea. Adesso abbiamo firmato una LOI per la prima vendita del nostro materiale nel settore degli accessori moda. Il nostro ambizioso obiettivo è quello di raggiungere il mercato dell’auto entro il 2022.
Prevedete un apporto di capitali di rischio da parte di investitori?
La mia priorità è stata quella di assicurarmi la scalabilità della capacità produttiva e la possibilità di rispondere in tempi molto brevi alla richiesta del mercato. Obiettivo raggiunto grazie alla creazione di una filiera di produzione solida e tutta Made in Italy. Il progetto nella sua fase iniziale è stato finanziato con fondi privati e pubblici grazie a Invitalia e al bando Archè della regione Lombardia. Al momento non pensiamo ad un apporto di capitale da parte di terzi ma siamo aperti a tutte le strade.
Perché Lei crede così fermamente che la Sicilia, con le sue produzioni primarie in agricoltura, possa rappresentare un volano per lo sviluppo di nuovi business sostenibili?
Ho avuto la prova delle potenzialità della Sicilia e delle sue produzioni agricole. Prendiamo il polo industriale di Butera. Con Sicilbiotech abbiamo contribuito alla rivalutazione di un complesso industriale in disuso in un’area dedicata in passato al petrolchimico e lo abbiamo reso un centro di produzione ad altissimo contenuto tecnologico e un centro di economia circolare. Tutto questo nasce in mezzo a campi coltivati ad arance e cactus, i cui scarti ci forniscono la materia prima per la produzione di un prodotto industriale innovativo
Lei collabora attivamente a Terziario Donna Confcommercio Catania. Di cosa si occupa lì?
Dal 2018 sono impegnata come membro del direttivo dell’associazione nello sviluppo dell’imprenditoria femminile con delega all’innovazione e alle startup. La nostra prima iniziativa che portiamo avanti fin dalla costituzione del gruppo è il premio “Impresa è Donna” che quest’anno diventa regionale. L’obiettivo del premio è quello di mappare e far emergere il tessuto imprenditoriale femminile nel nostro territorio, mettere in rete le varie professionalità, condividere esperienze e ispirare altre donne, mostrare come sia possibile conciliare lavoro e vita personale.

Ma lei che consiglio si sentirebbe ad una ragazza che volesse avviare una start up?
Secondo la mia esperienza, spesso la paura di trovare difficoltà lungo il percorso è essa stessa la difficoltà principale. Se si crede nella propria idea, non c’è nulla di male nel cominciare per gradi. Magari parlarne con possibili partner o mentori che potrebbero consigliarci, indicarci i passi successivi, presentarci a persone chiave o semplicemente supportarci e aiutarci ad andare avanti.
Ultima domanda. Ma davvero il mondo del business è pronto ad accogliere oggi i principi stabiliti dall’ONU in Agenda 2030?
Il mondo del business, come qualunque altro fenomeno umano, non è altro che un insieme di persone. Tutto ciò che ci serve per essere pronti e avere una volontà sufficientemente condivisa e la determinazione giusta. Noi siamo una realtà piccola e nata da poco, ma stiamo dimostrando che gli obiettivi di Agenda 2030 sono raggiungibili per noi come, a maggior ragione, per i grandi gruppi industriali. Ancora una volta, si tratta di avere il coraggio di cambiare approcci e paradigmi.
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