Alla fine saranno sempre le regioni del Nord-est a trainare l’economia del Paese nel 2022, ma la Sicilia spiccherà come quarta regione d’Italia per crescita del Pil (Prodotto interno lordo), guadagnando tre punti percentuali rispetto al 2021. Sono le previsioni che emergono da un’analisi condotta dall’Ufficio studi della Cgia (associazione artigiani e piccole imprese) di Mestre e basata sugli scenari territoriali presentati nelle settimane scorse da Prometeia. La Sicilia, pur con la rosea previsione della Cgia, non riuscirà tuttavia a recuperare del tutto il gap che si è creato nel 2019, anno della pandemia: rispetto ai livelli pre-Covid, il Pil resterebbe infatti negativo dello 0,3 per cento. Mal comune alla gran parte delle regioni italiane. Saranno infatti solo sette su 20, secondo Cgia Mestre, le regioni che riusciranno a recuperare i livelli di Pil pre-pandemia. Per l’anno in corso, nessuna regione italiana è destinata a fare meglio del Veneto, il cui Pil è previsto in aumento del 3,4 rispetto allo scorso anno. Segue la Lombardia con il 3,3 per cento e l’Emilia Romagna con il 3,2 per cento. Complessivamente, le stime dell’associazione degli artigiani sono più prudenti rispetto alle previsioni presentate in queste ultime settimane dai principali istituti economico–statistici nazionali: nel 2022, infatti, la crescita media del Pil italiano è stimata dalla Cgia al 2,9 per cento, un livello inferiore a quello ipotizzato, ad esempio, nelle settimane scorse dalla Banca d’Italia (+3,2 per cento) o al dato sulla crescita acquisita dall’Istat (+3,4 per cento).

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Export e investimenti, previsioni incoraggianti
Nel prossimo autunno lo scenario economico e sociale sarà particolarmente difficile, ritiene infatti l’Ufficio studi dell’associazione artigiani e piccole imprese di Mestre. Il caro energia, l’inflazione galoppante, gli sviluppi della guerra in Ucraina e una possibile recrudescenza del Covid rischiano di frenare con più forza di quanto previsto lo slancio economico maturato in Italia nella prima parte di quest’anno. Fanno comunque riflettere in senso ottimistico le previsioni legate all’export siciliano, dove il picco è particolarmente positivo: il 15,5 per cento in più, a fronte di una media nazionale che vede un aumento ‘solo’ del 6,3 per cento. In questo versante il recupero rispetto al 2019 sarebbe ottimo: il 21,9 per cento. Un record per la nostra isola. I consumi delle famiglie si stima possano crescere invece solo dell’1,8 per cento (media nazionale 21,8 per cento), rimanendo ancora sotto di 3,8 punti percentuali rispetto alla situazione pre-Covid. Sul fronte degli investimenti, la Sicilia dovrebbe crescere del 10,2 per cento, superando abbondantemente il gap con il 2019 di ben 17,1 punti percentuali: un recupero notevolissimo che sarebbe in gran parte giustificato dall’immissione in circolo di nuove risorse da parte dei privati soprattutto in edilizia, sulla spinta dei vari bonus statali e del Superbonus 110.

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Messina prima siciliana nella classifica delle province
L’analisi si conclude con il ranking con cui Cgia classifica le province per quanto riguarda il valore aggiunto. Si tratta di una variabile che approssima il Pil e che è disponibile per la valutazione della crescita di un territorio a livello provinciale, dato dal Pil al netto delle imposte indirette, la cui principale è l’Iva. Nell’elenco delle 107 province italiane prese in esame dalla Cgia, la prima siciliana che si trova in lista è Messina, al nono posto, con un aumento del 3,8 per cento. Segue Siracusa al 20esimo posto con una stima del 3,6 per cento. Bisogna scivolare giù di 36 posizioni per arrivare a un’altra siciliana, Trapani, mentre Palermo è al 41esimo posto e Agrigento al 50esimo. Catania si colloca invece solo in 60esima posizione. Il capoluogo siciliano recupera dello 0,5 per cento il gap con l’anno del Covid, Agrigento dello 0,3, Catania dello 0,1. Ragusa, in 63esima posizione con un guadagno del valore aggiunto del 2,8 per cento, ha recuperato un +1 per cento rispetto al 2019, ma la migliore in questo senso è Enna che ha recuperato il 2 per cento, con una stima di crescita del 2,6 per cento.

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Faraci: “Tenere conto anche di povertà e disuguaglianza”
“Con le dovute differenze, il Pil sta all’economia come il profitto sta all’impresa”, puntualizza Rosario Faraci, ordinario di Economia e Gestione delle imprese all’Università di Catania e collaboratore della nostra testata. “Pil e livello di profitto non sono metriche che riescono a rappresentare pienamente lo stato di salute economica di un’area geografica o di una realtà produttiva. Basta qualche variazione percentuale in più o in meno, tra l’altro basata su previsioni e stime, e si aprono infinite discussioni sulla ripresa oppure sulla crisi dell’economia. Guardiamo alle singole componenti del Pil. Ad esempio, la voce delle esportazioni, che per la Sicilia impatta positivamente sul Pil, è legata alle transazioni internazionali delle principali realtà petrolifere ed energetiche multinazionali stanziate nell’Isola. Inoltre, per onestà intellettuale, bisognerebbe anche tener conto degli indicatori di benessere economico che nell’ultimo rapporto Bes dell’Istat descrivono una Sicilia, come la Campania, dove il fenomeno della povertà interessa il 38 per cento della popolazione. Oppure l’indice di disuguaglianza, cioè il rapporto tra reddito posseduto dal 20 per cento più ricco della popolazione e il 20 per cento più povero, è 7,3 in Sicilia, più alto del valore medio dell’Italia pari a 5,7. Senza dimenticare che gli indicatori di deprivazione abitativa e materiale di alcune fasce della popolazione nel Mezzogiorno sono più alti della media del Paese”, conclude Faraci.
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