È l’oro bianco della cucina isolana, adoperato per molte preparazioni che vanno dai pesti, ai primi, fino ai dolci. Ed è anche un potente rimedio naturale, con effetti positivi sulla circolazione, il colesterolo e persino lo stress. Parliamo del pinolo siciliano, un frutto prezioso e tuttavia sempre più minacciato. Al punto che l’ultimo produttore rimasto nell’Isola, dopo trent’anni di attività, pensa di ritirarsi dagli affari. Il pinolo siciliano potrebbe essere una buona alternativa a quello siberiano le cui importazioni sono diminuite a causa della guerra tra Russia e Ucraina, ma la produzione è insufficiente a coprire il fabbisogno. “Dobbiamo fare i conti con i parassiti che infestano le pinete, con gli alti costi di produzione e la mancanza di manodopera”, dice a FocuSicilia Giuseppe Garretta, fondatore della cooperativa sociale Sicilpinoli, azienda biologica di Piazza Armerina che copre l’intera filiera del prodotto, dalla raccolta allo sgusciamento, fino al confezionamento e alla vendita. Con la sua azienda Garretta dà lavoro a decine di persone, in un territorio complesso come quello ennese. I problemi però sembrano superare i guadagni, anche a causa della Regione. “Non fa nulla per proteggere le piante dai parassiti, limitandosi ad abbattere porzioni sempre più vaste di pineta di anno in anno”. Finora Garretta è andato avanti “tra alti e bassi”, ma se le cose continueranno cosi “non è escluso che decida di fermarmi”.
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Tanto raccolto, pochissima resa
Attualmente Garretta lavora su circa 150 ettari di pineta di proprietà della Regione. La pianta lavorata appartiene alla specie Pinus pinea, meglio nota come pino domestico, “originario delle coste spagnole e piantato in Italia sin dai tempi antichi”. Per farlo, la Sicilpinoli paga dei diritti di sfruttamento che variano in base alla quantità di prodotto raccolto, “ma in genere vanno dai dieci ai 15 mila euro l’anno”. La resa delle pinete, infatti, può variare in modo significativo secondo la stagione e lo stato di salute delle piante. “Ci sono anni in cui raccogliamo 200 quintali, altri in cui arriviamo a 800 quintali. In questi casi fatichiamo a trovare la manodopera, visto che servono molte più persone”. I numeri del raccolto si riferiscono al prodotto in forma grezza, compreso di strobilo, meglio noto come cono o pigna. Lo scarto è tantissimo. “Su cento chilogrammi di pigne raccolte, ricaviamo in media 1,7 chilogrammi di pinoli”, spiega Garretta. Il meccanismo di lavorazione non è semplice, e i costi sono lievitati ulteriormente con i rincari di energia e imballaggi. “Servono macchinari particolari per estrarre e confezionare il frutto, che abbiamo perfezionato nel corso degli anni per un costo complessivo di circa un milione di euro”.
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Produzione locale insufficiente
Una volta pulito e confezionato, il frutto viene venduto in tutta l’Isola in varie modalità. “Attualmente i prezzi si aggirano sui 50 euro al chilo all’ingrosso e sugli 85 euro al chilo al dettaglio”, dice il titolare. Presso i rivenditori, invece, il prodotto “può arrivare anche a 120 euro al chilo”. La vendita media di Sicilipinoli “va dai 20 ai 30 quintali l’anno”, ma deve fare i conti “con la concorrenza di prodotto estero, soprattutto quello turco, che somiglia più al nostro”. Altri produttori come Cina e Pakistan preoccupano meno, “visto che il frutto è molto diverso”, mentre per quanto riguarda il pinolo siberiano “le importazioni sono un po’ diminuite con la guerra tra Russia e Ucraina”. Per Garretta ciò potrebbe rilanciare il prodotto locale, “ma la produzione è insufficiente a coprire il fabbisogno, non solo in Sicilia ma in tutta Italia”. Nel Paese le aziende che si occupano esclusivamente di pinoli come quella di Garretta “sono tre o quattro” e si collocano tra Toscana e Lazio. Anche loro, però, devono fare i conti con molte difficoltà. A partire dai parassiti, che l’anno scorso hanno dato un duro colpo a tutta la produzione mondiale.
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Il problema del “cimicione”
Oltre alla ben nota processionaria, che attacca i pini e può essere molto pericolosa anche per gli animali e l’uomo, da alcuni anni gli alberi devono fare i conti con un altro insetto. Si tratta del Leptoglossus occidentalis, conosciuto come “cimicione americano”, che attacca gli strobili svuotandoli e compromettendo i raccolti. Secondo gli esperti, i primi esemplari di cimicione sarebbero arrivati alla fine degli anni Novanta con alcuni carichi di legname dall’America, ma la loro diffusone è aumentata notevolmente negli ultimi anni, fino a minacciare seriamente i raccolti di pigne. I metodi di controllo ci sarebbero. Gli scienziati hanno individuato un insetto antagonista, Gryon pennsylvanicum, un piccola vespa canadese che sembrerebbe in grado di sopprimere il cimicione. Al momento, tuttavia, l’insetto non può essere commercializzato per via della direttiva Habitat dell’Unione europea, che vieta “la reintroduzione, l’introduzione e il ripopolamento in natura di specie e popolazioni non autoctone”. Sono previste delle deroghe, ma passano attraverso un percorso autorizzativo che il “Gryon” non ha ancora superato.
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Il silenzio della Regione
Un altro metodo di contenimento del cimicione potrebbe essere rappresentato da un olio essenziale prodotto da Bioequilibrium srl, azienda lombarda diretta dal siciliano Andrea Spadola. “Abbiamo elaborato un olio essenziale a base di peperoncino, che si è dimostrato molto efficace anche contro il cimicione”, spiega Spadola. L’olio costa circa 200 euro al litro ma per coprire un ettaro basterebbero 50 centilitri. “Il problema è che non è stato autorizzato per le coltivazioni biologiche, perché pur essendo totalmente naturale il prodotto non è selettivo e quindi elimina anche altri tipi di insetti non nocivi”, aggiunge il titolare di Bioequilibrium. L’olio essenziale, di conseguenza, non può essere utilizzato per le coltivazioni di Piazza Armerina. Al di là del metodo, Garretta sembra mettere in dubbio la volontà politica di intervenire. “La verità è che siamo gli unici produttori, quindi non ci ascoltano. Per recuperare le pinete non è stato fatto nulla, tranne tagliare gli alberi, in modo sempre più invasivo, soprattutto sulle coste”, conclude il titolare di Sicilpinoli.