“In Sicilia, nel 2021 e nel 2022, non ci sarà alcun boom economico. Nemmeno con le risorse del Pnrr, il cui impatto potrà essere valutato solo tra qualche anno”. Maurizio Caserta, professore ordinario di Economia Politica all’Università degli Studi di Catania, commenta la situazione economica dell’isola all’indomani dell’erogazione dei primi 25 miliardi del Piano nazionale di ripresa e resilienza all’Italia da parte della Commissione europea. Come mostrano i dati provvisori dello Svimez, la crescita della Sicilia nel 2021 sarà del 2,8 per cento, mezzo punto sotto la media del Mezzogiorno (3,3 per cento) e quasi due punti sotto quella nazionale (4,7 per cento). Numeri che secondo Caserta parlano chiaro. La Sicilia, come il resto del Sud, “non si è ancora ripresa dalla crisi precedente, ovvero quella del periodo 2008-2011”. Il Mezzogiorno “recupererà probabilmente le perdite del 2020”, ma non il gap che da decenni lo vede “indietro rispetto al resto del Paese”. Nessuna crescita miracolosa legata al Pnrr, dunque. Almeno nell’immediato.
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“Il 40 per cento non basta”
Il divario tra Nord e Sud non può essere colmato nel breve termine, neppure da un intervento economico così massiccio. Le risorse messe in campo per aiutare l’Italia a rialzarsi dopo la pandemia sono importanti, spiega Caserta, “ma il 40 per cento per il Mezzogiorno chiaramente non basta”. Un tema sollevato anche da Svimez, che mette nero su bianco alcune perplessità legate al Piano di ripresa. Al Sud, secondo il documento definitivo presentato a Bruxelles dal governo Draghi, andranno circa 82 miliardi su 222. Una cifra “da valutare positivamente”, scrive l’Istituto, che però avrebbe considerato più adeguata “una distribuzione delle risorse coerente con l’obiettivo europeo della coesione territoriale, pari al 50 per cento”. Una quota di investimenti che “avrebbe l’effetto di incrementare significativamente la crescita del Pil meridionale e di attivare un ulteriore incremento di posti di lavoro”. Con effetti positivi per tutto il Paese, precisa Svimez.
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Struttura produttiva inadeguata
Per Caserta, però, il problema è a monte degli stanziamenti, e riguarda le dimensioni asfittiche del sistema economico meridionale. “Il Pnrr si propone di riattivare la domanda privata attraverso una forte domanda pubblica”, riassume il docente. Questa domanda genera impatti significativi “laddove c’è un’elasticità della struttura produttiva”. Fuori dai tecnicismi, dove il tessuto economico reagisce agli stimoli. Esattamente il contrario di ciò che avviene in Sicilia e al Sud. “La struttura produttiva meridionale è vecchia e piccola. Quindi soffre di più nelle fasi recessive e fatica a rialzarsi in quelle espansive, non avendo gli strumenti di resilienza delle altre economie”. Il risultato è una sorta di coma, da cui si fatica a uscire malgrado i consistenti investimenti in arrivo. “Anche una domanda molto ampia come quella che vediamo adesso, che viene sia dalla finanza pubblica che dalla politica monetaria, non riesce a generare effetti economici positivi”, dice Caserta.
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Transizione ecologica e digitale
Non è solo un discorso di quantità, ma anche di qualità. Non è un caso che molte delle risorse del Pnrr siano dedicate a transizione ecologica e digitale. “La domanda sta cambiando, e di conseguenza anche il mercato. La gente compra diversamente, le cose da produrre sono diverse rispetto a qualche anno fa”, sottolinea il docente. Il rischio è che questa trasformazione possa favorire ulteriormente il Nord, maggiormente attrezzato in questo senso. Uno scenario pericoloso, secondo Caserta. “Se si continua a concentrare le risorse laddove sono state più produttive, il fallimento è garantito”. Al contrario, il sistema produttivo meridionale “deve essere attrezzato per fronteggiare cambiamenti anche improvvisi nella domanda di famiglie e imprese”. Cosa che, come detto, non potrà avvenire nel giro di pochi mesi. Lo sguardo dev’essere proiettato più avanti, “chiedendosi cosa potrebbe succedere tra cinque, sei, sette anni se riusciremo a ristrutturare il sistema produttivo”. Tirando il paziente fuori dal coma, insomma.
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Il ritorno del Ponte sullo Stretto
Considerazioni che valgono per tutto il Sud, ma in particolar modo per la Sicilia. “Scorrendo le anticipazioni Svimez ci si rende conto che la nostra Regione sta peggio di tutte le altre, con una crescita molto limitata”, avverte l’economista. Un dato che per Caserta è percepibile a pelle, prima che dai numeri. “Noi siciliani lo sappiamo anche senza guardare i dati che la struttura produttiva è carente. In questi anni non ci si è preoccupati di rinnovare il sistema produttivo e infrastrutturale. Inutile parlare delle strade, delle ferrovie, del Ponte”. La madre di tutte le grandi opere (incompiute) è tornata d’attualità negli ultimi giorni, con l’annuncio del ministro delle Infrastrutture Enrico Giovannini sullo studio di fattibilità atteso per i primi mesi del 2022. Il giudizio di Caserta è netto. “È ridicolo che dopo anni siamo ancora al punto di partenza. In ogni caso del Ponte è meglio non parlare, perché rischia di diventare soltanto uno strumento di distrazione di massa”.
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Cercasi competenze nella Pa
Ponte a parte, che buona parte delle risorse debbano essere destinate al rafforzamento delle infrastrutture è fuor di dubbio. “Sappiamo tutti cosa fare. Il punto è farlo in tempi brevi, con scadenze annuali e un orizzonte temporale di medio periodo”, dice l’economista. Una considerazione che mette in luce un altro problema del Sud e della Sicilia: oltre all’assenza di capacità produttiva, anche la carenza di progettualità. “Bisogna immettere competenze nel sistema, per garantire fluidità nell’esecuzione dei progetti”, dice il professore. Una necessità che il governo nazionale sembra aver colto, avviando concorsi per assunzioni nella Pubblica amministrazione. “Dobbiamo raccogliere le energie migliori, di cui la Sicilia e il Meridione sono pieni. Si tratta di coagularle in modo credibile”. Una vera e propria urgenza, secondo Caserta, visto che la qualità dell’azione pubblica in Sicilia “è abbastanza scadente, ma questa è una mia opinione da cittadino”.
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Un Piano calato dall’alto
Una carenza evidenziata anche nella selezione dei progetti da inserire nel Pnrr, secondo l’economista. “Quando la Regione ha presentato le proposte si è visto che il criterio utilizzato: raccogliere i progetti nel cassetto e metterli in fila, anche con una certa approssimazione”. Per Caserta la partecipazione dal basso “è fallita”, al punto che il governo nazionale “ha legittimamente ignorato molte proposte”. Quella dell’impiego efficace delle risorse, però, è una sfida che la Sicilia non può perdere. Secondo il docente non tutto è perduto. “La sfida adesso è come gestire gli interventi che certamente ci saranno nel Sud, in tutte le missioni previste dal Piano di ripresa, digitalizzazione, transizione ecologica, infrastrutture sostenibili, istruzione, inclusione e salute”. Una sfida che richiede l’impegno del governo regionale e degli enti locali, “per riuscire a personalizzare un piano calato dall’alto”.
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Il tema delle opere già finanziate
C’è poi la questione delle opere già finanziate inserite nel Pnrr. Secondo lo Svimez il loro valore sarebbe di circa 53 miliardi, e potrebbe ridurre la spesa effettiva dei fondi nel Mezzogiorno. Caserta ridimensiona la questione. “Quella sugli investimenti europei sostitutivi o addizionali è una storia che si pone da anni”. Per il professore “è un problema fino a un certo punto”, visto che reclamare maggiori risorse “sposta l’attenzione rispetto al modo in cui le risorse stesse verranno impiegate”. Un vizio antico dei governi siciliani, prosegue il docente, che va di pari passo con la difficoltà di spesa. “Se si guarda al passato, il flusso di risorse dall’Unione europea è stato enorme, ma l’impatto quasi nullo”. Concentrarsi su questo tema, ribadisce, allontana da quello principale. “In questi anni non abbiamo sofferto di un deficit di risorse europee, ma di un deficit nel loro utilizzo. Ecco perché è meglio concentrarsi sulle cose da fare”.