Il mercato dei libri cresce, quello delle librerie indipendenti muore. Secondo l’Associazione italiana editori (Aie), il 2018 si è chiuso con un fatturato di 3,2 miliardi di euro, il 2,1 per cento in più rispetto all’anno precedente. Nel dato però è compreso il peso di Amazon e quello dell’usato. Il trend positivo, quindi, non è sufficiente per descrivere lo stato di salute delle librerie. Le recenti chiusure della Paravia di Torino, la seconda libreria più antica d’Italia, ma anche della storica libreria di Ragusa Paolino o della Broadway di Palermo hanno acceso i riflettori su un fenomeno che va avanti da anni. Dietro i casi noti e i segni più del mercato, ci sono “2500 librerie che hanno chiuso battenti negli ultimi cinque anni”, puntualizza Daniela Bonanzinga, titolare della storica libreria “Bonanzinga” di Messina, dal 1969.
Gli svantaggi di essere piccoli
“Le storiche librerie indipendenti affrontano difficoltà gestionali che portano o alla chiusura o all’assorbimento da parte delle grandi catene”, spiega Bonanzinga. Rispetto a una libreria indipendente, i colossi come Feltrinelli, Giunti o altri sono avvantaggiati: “Loro sono editori, distributori e librai contemporaneamente, quindi tengono in deposito i propri libri e per ogni vendita hanno tutto di guadagnato. Noi librai indipendenti, invece, dobbiamo acquistare i libri per tenerli in bottega e sperare di venderli per avere un rientro economico”. Ai costi si aggiungono i tempi d’attesa, aggiunge Anna Cavallotto, titolare dell’omonima libreria catanese (nella foto): “I librai autonomi dipendono dagli editori, che non sempre sono celeri nel procurare i libri. Un inconveniente che comporta una perdita di clienti”.
L’avanzata delle grandi catene
Secondo l’Associazione Italiana Editori, nel 2018 le librerie di catena sono passate dal 36,5 al 45 per cento dei punti vendita totale. Quelle indipendenti dal 42,5 al 24 per cento. Non solo franchising, ma anche collaborazione: Anna Cavallotto ha deciso di entrare nella rete di librerie Ubik, che consente a ogni libraio di mantenere la propria identità. “Le librerie medio-grandi – afferma l’imprenditrice catanese – hanno difficoltà a mantenersi da sole. Per questo bisogna capire che, per competere con la grande distribuzione, l’unione fa la forza”.
E-commerce e concorrenza sleale
Al di là della concorrenza delle grandi catene, esiste un concorrente ancora più pericoloso: il più grande e-commerce d’Occidente. “La crisi più grave è cominciata quattro anni fa, con un calo di clientela del 50 per cento dovuto ad Amazon”, afferma Francesco Paolo Vassallo, titolare di “Spazio Cultura Libreria Macaione”. La piattaforma, che proprio dai libri ha iniziato a costruire la sua fortuna, “ha attirato i clienti vendendo anche libri scolastici con uno sconto del 15 per cento”. L’e-commerce del libro fisico infatti oggi copre un quarto del mercato. Per Anna Cavallotto, “si tratta di una concorrenza sleale, che il governo dovrebbe frenare con la legge Levi. La norma impone un tetto massimo di sconti applicabili sui libri. Il 15 per cento è eccessivo per il piccolo rivenditore indipendente: solo la grande distribuzione organizzate o Amazon possono permetterselo, lanciando i libri a prezzi di copertina alti e scontandoli subito. Non si capisce che, se si imponesse uno sconto massimo del 5 per cento, come in Francia, i prezzi di copertina scenderebbero”. L’acquirente preferisce comprare un libro online perché ha la certezza di averlo a casa, in pochi giorni e spesso a un prezzo più economico. “Online però non esiste un personale competente con cui consultarsi”, sottolinea Cavallotto. “Per questo le librerie dovrebbero essere sempre il punto di riferimento principale, cosa che avviene quando per esempio il cliente cerca libri per prepararsi a test o concorsi”.
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Non è tutta colpa di Amazon
Il problema non è solo l’e-commerce: “Questa crisi è prima di tutto culturale”, sottolinea Daniela Bonanziga. “Amazon e simili hanno causato per le librerie una perdita di fatturato, ma non possono aver portato da soli alla chiusura. Se si considerasse solo l’aspetto economico, bisognerebbe notare che tutti i negozi in generale stanno subendo un calo”. Internet ha fatto sì che la vendita di enciclopedie o guide turistiche avessero una frenata brusca, ma il livello di vendite è sceso in tutti i generi di lettura. C’è quindi il problema di una scarsa propensione alla lettura. Sia Paolo Vassallo sia Daniela Bonanzinga hanno constatato che i bambini sono educati a leggere durante l’infanzia, ma dall’adolescenza in poi abbandonano la lettura e vi si riavvicinano, forse, solo dopo i quarant’anni. “Bisogna studiare le esigenze dei ragazzi per invitarli alla lettura”, afferma la libraia messinese, che da anni infatti incontra gli studenti nelle scuole. L’Italia ha uno dei più bassi indici di lettura a livello europeo: il 41 per cento dei lettori non arriva a tre libri l’anno e nel 2019 solo il nove per cento ha letto per più di un’ora continuativa al giorno. Una quota che nei giovani si abbassa appena all’1 per cento.
Non solo librai
Attendere il cliente alla porta non è più sufficiente, bisogna attirarlo e trattenerlo. Per questo le librerie ormai sono spazi culturali e luoghi d’incontro: “Spazio Cultura, al di là della crisi, non è mai stata solo una libreria, come lo stesso nome fa intuire”, racconta Vassallo. “Da sempre infatti al suo interno si organizzano presentazioni di libri e mostre fotografiche. Inoltre spesso i banchetti della mia libreria sono presenti in manifestazioni esterne. Bisogna uscire e non attendere il cliente alla porta”. Le librerie sono centri di aggregazione culturale e la loro chiusura è una perdita. Anche economica: “Il governo – spiega Cavallotto – non capisce che la chiusura delle botteghe comporta l’abbandono del centro storico e la diminuzione dei pagatori di tasse”.