Politiche attive del lavoro, Italia in coda all’Ue. Alle donne incentivi insufficienti

In Italia la spesa per lepolitiche del lavoroè “sostanzialmenteincentrata sui sostegni“, come ad esempio i sussidi di disoccupazione, ma nel complesso“non è sufficiente ad avvicinare i partner europei”. Inoltre la ricerca passa più da“canali informali”che daiCentri per l’impiego,cosicché “i rischi di ottenere lavori di bassa qualità si moltiplicano”. È la fotografia scattata dall’Inapp, Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche, nelRapporto 2023 su lavoro, formazione e welfare.Altri aspetti del mercato del lavoro preoccupano i tecnici dell’Istituto. In particolare la scarsa efficacia degliincentivi per le assunzioni,“solo marginalmente utilizzati e non rilevanti nelle decisioni delle imprese”. Ma anche le difficoltà areinserire nel mercato del lavoro gli over 50 e, soprattutto, le donne.Su questo fronte, infatti, “gliincentiviall’occupazione non riescono a incrementare itassi di partecipazione femminile;questo obiettivo non viene raggiunto neanche da quelliesclusivamente riservati alle donne”. Un vero e propriobuco nell’acqua,insomma. Leggi anche –Sicilia, il lavoro c’è, la formazione no: Confindustria etnea riparte dai giovani Per quanto riguarda gliinvestimenti sul mercato del lavoro, come detto l’Italia è in ritardo rispetto ai principali partner europei. I fondi sono stati incrementati in occasione dellacrisi finanziariadei primi anni Duemila e con lapandemia da Covid-19.“Già nel 2008 la spesa era aumentata, poi sostanzialmente rientrata nel 2019 con un nuovo picco determinato dall’emergenza in fase di pandemia“. In percentuale, l’aumento dei fondi è stato superiore alla media europea (86 per cento contro il 73 per cento), mail gap non è stato ancora recuperato.“Considerando il complesso delle politiche, si registra una percentuale di spesa italiana pari a 2,8 punti di Pil. Pressoché in linea con la media dell’UE27 (2,864), maal di sotto della media dell’Eurozona(3,027) e dei principali Paesi (Spagnacon 4,545 punti;Franciacon 4,027 punti)”. Fa eccezione laGermania, che “fa registrare una percentuale inferiore (1,944 punti)”, a fronte di unmercato del lavoro molto più solido. Leggi anche –Giovani millennials senza lavoro al Sud. La Sicilia è l’isola delle incertezze Dall’analisi emergono alcunepeculiarità del mercato del lavoroitaliano. La più evidente è la tendenza a sottovalutare i servizi (a partire dai Centri per l’impiego) e lepolitiche attive(formazione, incentivi all’occupazione, creazione diretta di posti di lavoro), a vantaggio di quellepassive(sostegni economici sul modello dei sussidi di disoccupazione). Per quanto riguarda le politiche attive, scrivono i tecnici, “la percentuale di spesa italianaè pari allo 0,221 per cento del Pil, mentre la media europea si attesta sullo 0,606 per cento”. Il Paese che destina le maggiori risorse è laSpagna, “con l’1,035 per cento del Pil,più di quattro volte dell’Italia“. Allo stesso tempo,il Belpaesespende di più per i sostegni. “La spesa (2,587 per cento) si attesta al di sopra della media europea (2,058 per cento), ma al di sotto diSpagna(3,361) eFrancia(3,259)”. Sul fronte opposto laGermania, con poco più dell’un per cento. Per l’Italia, il risultato è un mercato del lavoro ristretto e ricco di diseguaglianze. Leggi anche –Lavoro: il Covid passa, il gender gap no. Alle donne 8.000 €in meno l’anno Le più evidenti, come detto, sono quelle che riguardano ledonne. Su circaotto milioni di nuove attivazionicontrattuali nel 2022, scrive Inapp, solo tre milioni riguardano il genere femminile (42 per cento), e di queste appena 780 mila derivano daagevolazioni(41 per cento). Per i tecnici ciò dimostra come “nonostante lapluralità di incentivi,nessuno di questi riesca ad attivare sufficienti posti di lavoro a favore di donne”. A dispetto delle agevolazioni, insomma, “la composizione e il relativo squilibrio di genererestano immutati, a conferma didivari sostanzialmente impermeabilia misure di tipo congiunturale, su cui misure esclusivamente dal lato della domanda di lavoronon sembrano poter incidere“. Da tenere presente, infine, lanatura dei contratti. “Se si aggiunge il fatto che la maggior parte delle assunzioni è a termine o addiritturalimitata a una stagione(al massimo tre mesi), si capisce come lecriticità del mercato del lavoro femminilesiano ancor più ampie”.