Salute: in Sicilia “si curi chi può”. Famiglie sempre più povere

LasaluteinSiciliasta diventando un privilegio. Riservato a chi può permettersi dipagarele cure mediche. Anziché attenderemesiper un controllo in ospedale (più di 600 giorni diattesa per una visita endocrinologica, ad esempio), le famiglie finiscono col mettere mano alportafogli. E non è solo un problema dell’Isola. “Non possiamo più ignorare il fatto che sempre più persone, soprattutto le piùvulnerabili, stannorinunciandoalle cure. Milioni di persone si trovano costrette a scegliere tra la propria salute e altre necessità basilari, comeun’alimentazionesana el’istruzionedei propri figli. Solo chi ha soldi si cura e ciò determinadisuguaglianzeeconomiche e sociali insanabili”. Lo dice senza mezzi termini AnnaRea, presidente nazionaleAdoc. Nell’Isola la spesa sanitaria grava sulbilanciofamiliare più che in altre regioni d’Italia. In gergo si chiama “out of pocket” ed è la spesa sostenuta direttamente dai cittadini per l’assistenza sanitaria, ovvero “ditascapropria“. Secondo l’ultimo report elaborato daAdocedEuressullo stato di salute della sanità pubblica inItalia, questa tipologia di spesa è cresciuta quasi del17%tra il 2012 e il 2022. In undecennioè passata da 31,5 a 36,8 miliardi di euro. Ogni famiglia spende oggi, mediamente,113,5 euroal mese per curarsi di tasca propria, più di 1.300 euro ogni anno. Si tratta del4,3%della spesa totale sanitaria (che in gran parte è sostenuta dalla finanza pubblica). La quota pagata dalle famiglie tocca alSud il 4,5% e nelleIsole, quindi anche inSicilia, il 4,6%. Leggi anche –Sanità troppo cara, il 42% dei pazienti a basso reddito “rinuncia alle cure” Alla spesa sanitariacomplessiva, finanziata dallo Stato, le famiglie “compartecipano” sempre più. In tre modi. Innanzitutto col pagamento deiticket. Poi pagando prestazioniintramurarie: in ospedale, ma fuori dall’orario di lavoro dei medici. Infine, attraverso il ricorso all’offertadei privatiche può abbreviaretempi di attesa inammissibli e casi eclatantiche FocuSicilia ha più volte riportato. Si creano così due fronti, lontanissimi dal diritto costituzionale alla salute. Quello delle fasce dipopolazionebenestanti, “capaci di sostenereassicurazionie spese private”, spieganoAdocedEures, e quelli delle fasce meno abbienti. Queste, “costrette a subire i ritardi, le liste di attesa e la progressivacontrazionedell’offerta delle strutture, dei servizi e delle prestazioni sanitarie”. Leggi anche –‘Sanità pubblica allo sfascio’: la protesta di Cgil e Uil Sicilia arriva a Roma La crescente mancanza di fiducia nella sanità pubblica è confermata anche dall’aumento dellepolizzeassicurativeprivate, che gli italiani sottoscrivono sempre più. Arrivando a spendere, nel 2022, ben 3,51 miliardi di euro. Dieci anni fa la spesa era di 2,27 miliardi, nel 2017 di 2,74 miliardi.AdocedEuresscattano una fotografia anche alle caratteristiche dellefamiglieche più spendono in sanità. Al primo posto ci sono lecoppieanzianesenza figli, seguite dalle coppie conunfiglioe da quelle senza figli. Le tre tipologie di famiglie hanno a carico una spesa sanitaria rispettivamente di 159,9, 134,1 e 128,8 euro al mese, contro i 113,5 dellamedianazionale. All’opposto, a spendere meno sono igiovaniche vivono da soli o in coppia (con una spesa media mensile pari, rispettivamente, a 46,3 e a 65,8 euro). Leggi anche –Sanità, nuovo Ccnl dirigenti medici. Cisl: “Speriamo freni la fuga dal pubblico” Ospedali, personale e strutture territoriali restanoinsufficienti. In attesa di eventuali migliorie dovute agli effetti delPnrr, è evidente l’inadeguatezzadella spesa sanitaria pubblica in Italia rispetto ad altri Paesi Ue. Da dati Ocse ripresi da Eures e Adoc, il valore della spesa sanitaria inItaliaper il 2022 (pari al 6,8% del Pil), risulta decisamenteinferiorea quello dei diretti benchmark europei, quali laGermaniae laFrancia, dove la spesa pubblica per la sanità rappresenta rispettivamente il 10,9% e il 10,3% del Pil del Paese. Il datoitalianorisulta inoltre inferiore a quello deiPaesiBassi, delBelgio, dellaFinlandiae dellaSpagna(i cui valori sono compresi tra l’8,6% e il 7,3% del Pil), superando invece quello dellaGrecia, dellaPoloniaedell’Irlanda. Inlineacon il valore italiano, infine, quelli diNorvegiaePortogallo.